Gian Antonio Stella «Ma questa Italia non è competitiva»

di ALEX PESSOTTO
Il successo de "La casta" è ancora ben presente. Alla luce di quel libro venduto alla grande, tralasciando altri suoi libri per non parlare dei suoi articoli “sul Corriere della Sera” (del quale è editorialista), Gian Antonio Stella sarà di certo tra i protagonisti della 13.a edizione di èStoria. Il festival comincia domani con una stella della danza come Carla Fracci: sarà al Teatro Verdi di Gorizia, alle 20.45, assieme al marito Beppe Menegatti in un appuntamento coordinato dal giornalista Armando Torno dal titolo "Italia in scena nel mondo".
Poi, da venerdì mattina fino a domenica sera, èStoria (che quest'anno ha per tema "Italia mia") proporrà un fitto calendario di eventi cui da anni ci ha abituati. Stella, in particolare, parlerà proprio venerdì nella Tenda Erodoto dei goriziani Giardini pubblici subito dopo l'inaugurazione del Festival (alle 18.30). Il suo intervento sarà incentrato su "Patria, patrie, patrimonio".
Ma ha ancora senso parlare di patria?
«Certo. E anche di patriottismo. Non sono concetti vecchi, passati di moda».
Non sono nemmeno concetti estremi?
«Non sono concetti di destra. Non lo sono se intendiamo la patria come la terra dei nostri padri, l'Heimat. La patria è una cosa seria, larga. E trovo insopportabili certe retoriche sulla patria che arrivano a Milosevic e Umberto Bossi. I loro sì che sono concetti di patria dannosi e vecchi».
Ma, quindi, cos'è la patria?
«Come ha spiegato in un articolo Claudio Magris "l'identità autentica assomiglia alle Matrioske, ognuna delle quali contiene un'altra e s'inserisce a sua volta in un'altra più grande. Essere emiliani ha senso solo se implica essere e sentirsi italiani, il che vuol dire essere e sentirsi pure europei". Ecco, il sovrapporsi di patrie è una cosa bellissima e consente di avere più identità. Quanti americani hanno vissuto una vita intera nel Mayne, ad esempio, ricordando la patria lontana che poteva essere Otranto piuttosto che Osoppo, ma sentivano appunto come nuova patria l'America? Una straordinaria giornalista, Amy Bernardi, fece delle inchieste in America arrivando alla conclusione che il fascismo sbagliava a pretendere che i "nostri" emigrati si sentissero italiani tutta la vita: sarebbero stati infelici».
In cosa avrebbero potuto sperare?
«Nel veder riconosciuto dalla loro vecchia patria il diritto di sentirsi legati a due patrie: all'Italia, da cui erano partiti, e all'America, che aveva loro concesso la possibilità di prosperare. Aristofane diceva che "La patria è la dove si prospera". Calvino è nato a Cuba, ma non è mica uno scrittore cubano...».
Non sembra favorevole allo ius soli...
«L'America è destinata a temperare questo principio come già hanno fatto altri. È un ideale nobile che però rischia di far danni. Non basta nascere in Italia per essere italiani. Sono invece favorevole a uno ius soli temperato, a uno ius sanguinis temperato».
Oltre che di patria e patrie a èStoria parlerà di patrimonio... Che c'entra?
«Di chi è Venezia? È solo nostra o è di tutta l'Europa? Dobbiamo avere cura del nostro patrimonio. Sia benedetto, allora, il sindaco di Palmanova Francesco Martines (nato in Sicilia, ma a Palmanova da quand'aveva cinque anni) che ha risvegliato le coscienze dei suoi concittadini spronandoli a pulire gratuitamente le mura della città coperte com'erano di alberi con radici profonde dodici metri nelle pietre. Insomma, come ci si può proclamare veneti se si lascia andare in malora il patrimonio di Venezia?».
È il disinteresse per il patrimonio, il principale problema italiano? E la questione migranti?
«I migranti sono un problema, sicuramente. Ma non certo il più importante. I sondaggi (Ipsos) danno ora il problema delle migrazioni al quarto posto: i migranti sono un problema per chi lo cavalca, ovvio».
Ma il problema italiano maggiore qual è?
«Le due regioni per cui gonfiamo il petto, Veneto e Lombardia. sono oltre il 100.o posto tra quelle più competitive in Europa. Abbiamo un Paese che non è competitivo: non solo perché il costo del lavoro è alto, visto che altrove è ancora più alto. Abbiamo un sindaco di Napoli come De Magistris che, in polemica con la Fiat, si rifiuta di visitare stabilimenti che sono i più avanzati in Europa. Il nostro è un Paese ideologico, fa fatica a ragionare sulle cose. E poi c'è uno stravolgimento sui valori dell'economia e del lavoro».
In che senso?
«Ad esempio, nel momento in cui si sta avendo il più grande boom turistico mondiale di tutti i tempi, noi abbiamo due milioni di addetti in meno al turismo della Germania. Abbiamo il triplo dei siti Unesco della Gran Bretagna ma siamo sotto la Gran Bretagna per gli incassi da turismo straniero. E abbiamo una classe politica, intellettuale, industriale di livello inferiore a quella di cui avremmo bisogno. Una classe che ha permesso ai nostri ragazzi più bravi di andarsene all'estero a cercar lavoro».
È la casta di cui scriveva dieci anni fa?
«Alcune cose sono sicuramente cambiate dopo l'uscita del libro ma molto resta da fare.
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