George Byron il poeta libertino capitolò per Teresa

L’iconografia tradizionale lo ha sempre presentato aitante e bellissimo. Ma in realtà è difficile stabilire con precisione come fosse fatto George Gordon Byron, il poeta romantico che all'inizio dell'Ottocento venne celebrato dalla buona società dell'intera Europa nei panni del genio trasgressivo. Nelle decine di miniature e ritratti che circolavano all'epoca possiede lineamenti di volta in volta diversi, mutano il colore dei capelli o degli occhi, la forma della bocca e del naso. E nessuno, inoltre, ha potuto stabilire se il piede deforme fosse il destro il sinistro. Portava infatti uno stivale correttivo che non si tolse mai di fronte a testimoni, e persino coloro che ne videro il cadavere hanno tramandato ai posteri notizie contrastanti.
In pratica i dati certi sono soltanto due: Byron non era alto e aveva una certa tendenza alla pinguedine. In alcuni periodi della sua vita superò il quintale di peso, e quando si imbarcò alla volta della Grecia era ancora impegnato a lottare contro un fisico appesantito da abitudini alimentari poco ortodosse. Nonostante diete rigorose, alle quali di tanto in tanto decideva di sottoporsi, non fu mai in grado di evitare repentini aumenti della massa di adipe. Per l'ovvia felicità dei suoi sarti, chiamati spesso a confezionargli nuovi guardaroba completi.
Le proporzioni fisiche lontano dall'essere perfette non scoraggiarono l' imponente stuolo di ammiratrici e amanti di cui Byron potè disporre. Del resto, ha ipotizzato più di un critico, le signore italiane, inglesi, spagnole o francesi erano incantate dalle leggende che circolavano sul suo conto e non si facevano certo intimorire da qualche difetto ritenuto di secondaria importanza.
Come ricorda Ottavio Fatica in una nota che accompagna “Un vaso d’alabastro illuminato dall’interno. Diari” (Adelphi, 303 pagine, 14 euro), lui si compiaceva di un successo tanto travolgente e furono poche le donne che si presentarono alla sua porta trovandosi respinte. Questa raccolta di pagine, apparse a Londra nel 1830 ma inedite in Italia, offrono la magnifica sintesi di un uomo “burlesco, ironico, dotato di un forte senso del reale e dell’assurdo”. La sua ossessione per la routine, anche nel vizio, è una necessità, precisa Fatica. Amava digiunare, cavalcare, tirare di pistola, boxare e nuotare e più di tutto amava amare, con tutte le nefaste conseguenze del caso.
L'unica che lo fece andare davvero su tutte le furie dopo una breve relazione fu Lady Caroline Lamb, l'impulsiva e brillante moglie del futuro primo ministro britannico, che non si accontentò di qualche furtiva notte e prese a tormentarlo al fine di ottenere maggiore spazio nel suo volubile cuore. «Non sono più il vostro amante - le scrisse nel novembre 1812 -. E dal momento che mi costringete a confessarlo mediante questa persecuzione davvero poco femminile, sappiate che sono affezionata a un'altra, fare il nome della quale sarebbe ovviamente disonorevole. Ricorderò sempre con gratitudine i molti esempi che ho avuto della predilezione da voi mostrata in mio favore. Continuerò sempre a esservi amico, se la vostra signoria mi consentirà di definirmi tale e come prima prova della mia considerazione vi offro questo consiglio: correggete la vostra vanità che è ridicola, esercitate i vostri assurdi capricci su qualcun altro. E lasciatemi in pace».
Nel corso di una vita segnata dai rapporti con le donne una porzione di grande rilievo assume il lungo soggiorno a Venezia dove arrivò nel 1816. Qui, secondo un elenco che lui stesso preparò, intrattenne relazioni sentimentali con circa duecento signore. «Alcune erano contesse e altre mogli di ciabattini, alcune nobili, alcune borghesi, alcune di basso ceto, alcune splendide, alcune discrete, altre di poco conto». La sua routine di cottimista dell'alcova si interruppe nella primavera del 1819 quando si innamorò di Teresa Guiccioli, ravennate poco più che ventenne, moglie di un nobile romagnolo molto più anziano di lei. I due si erano già incontrati in una precedente occasione in casa di Isabella Teotochi Albrizzi senza che si fosse accesa alcuna scintilla. Il secondo appuntamento fu invece quello decisivo.
Pochi giorni più tardi, tuttavia, Teresa fece ritorno a Ravenna e Byron prese a inviarle lettere appassionate in ottimo italiano. «Tu che se il mio unico e ultimo Amor - si legge in una di queste - tu che sei il mio solo diletto, la delizia della mia vita, tu che fosti la mia sola Speranza, tu che fosti, almeno per un momento, tutta mia, tu sei partita e io resto isolato nella desolazione. Ecco in poche parole la storia nostra! È un caso comune il quale abbiamo di soffrire con tanti altri poiché l'Amor non è mai felice, ma noi altri l'abbiamo di soffrire di più perché le tue circostanze e le mie sono egualmente fuor dall'ordinario. Questo ti prometto però e t'assicuro: tu sarai la mia ultima Passione».
A differenza di quanto aveva fatto in passato, questa volta mantenne la promessa. Per restare fedele a Teresa e poterla incontrare il poeta decise di spostarsi in Romagna e accettò per un breve periodo di essere il suo "cavalier servente", figura ammessa dalle regole del tempo. Poi la passione prevalse sul rispetto almeno formale delle regole e nel maggio 1920 la contessa Guiccioli rivelò al marito il suo rapporto, mettendo in difficoltà economiche Byron visto che il patrimonio sul quale poteva contare non era enorme e già l'impegno politico a favore della causa rivoluzionaria era fonte non secondaria di costanti e considerevoli uscite.
«Sono dentro a tutto il sudore, la polvere e le bestemmie di un impaccamento universale di tutte le mie cose per Pisa dove vado per l'inverno - spiegò a un amico in una lettera alcuni mesi più tardi -. La causa è l'esilio di tutti i miei amici carbonici, e fra questi l'intera famiglia di Madame G., alla quale come sai il marito ha imposto il divorzio l'altra settimana. È costretta a unirsi a suo padre e ai parenti, ora colà in esilio, poiché il decreto di separazione del Papa le impone di risiedere in casa paterna o altrimenti, per salvare il decoro, in un convento. Poiché non potevo dire con Amleto "Vattene in un convento" mi sto preparando a seguirli. È una fatica terribile questo amore, e ti impedisce tutti i progetti di bene e di gloria».
Dalla Toscana la coppia si trasferisce il Liguria poi nel 1823, dopo che Teresa fa ritorno a Ravenna insieme al padre, Byron si imbarca alla volta della Grecia insieme a un gruppo eterogeneo e mal organizzato deciso a combattere per la libertà di quel paese. Nonostante la lonta¬nanza il legame resta saldo e il poeta in più di una lettera le sottopone progetti di ricongiungimento non appena ottenuta la vittoria militare.
Come è noto, le cose andarono in maniera diversa: una febbre fortissima assalì Byron nella primavera del 1824 e lo uccise in pochi giorni. Questa morte prematura, ad appena trentasei anni, contribuì ad accrescere e rafforzare nell'intera Europa la leggenda dell'artista romantico. Teresa - vissuta sino al 1873 - ricoprì invece per quasi mezzo secolo il ruolo di appassionata testimone dell'ultima parte dell'esistenza di un uomo che per lei aveva rinunciato a una fortunata carriera da libertino.
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