Geli, la nipote prediletta di Hitler si è uccisa sparandosi. O forse no

“Tutti, a Monaco, conoscevano quell’indirizzo. Prinzregentenplatz, numero 16”. Già, perché quello era il palazzo in cui abitava il leader del Partito nazionalsocialista dei lavoratori, Adolf Hitler. È lì che la mattina del 19 settembre 1931, un sabato, vengono inviati i commissari di Polizia Siegfried “Siggi” Sauer ed Helmut “Mutti” Forster. Angela Maria Raubal, studentessa 23enne, è stata trovata senza vita. Angela Maria Raubal, detta Geli. Nipote prediletta di Herr Hitler.
La storia, una storia “che può cambiare la Storia” come dirà a un certo punto il commissario Forster, è maledettamente drammatica e al tempo stesso terribilmente vera. E la racconta Fabiano Massimi in “L’angelo di Monaco” (Longanesi, pagg. 496, 18 euro).
Sono gli ultimi mesi della Repubblica di Weimar, un anno dopo si terranno le elezioni che Hitler stravincerà. Quel 19 settembre 1931 Geli viene ritrovata senza vita nella sua stanza, chiusa a chiave, all’interno dell’appartamento di “zio Alf”. Accanto al suo corpo, una rivoltella: suicidio? Tutto sembra indicarlo, però… Sauer e Forster avviano le indagini, stritolati tra chi ordina loro di chiudere l’istruttoria entro poche ore e chi invece intima di andare a fondo del caso e scoprire la verità, qualsiasi essa sia. Hitler, accorso da Norimberga appena saputa la notizia, pare avere un alibi inattaccabile. La servitù di casa è un muro impossibile da scalfire. Ma in questo vero e proprio “giallo della camera chiusa” nulla in realtà è come appare. E allora le indagini, in un continuo “stop and go”, vanno avanti. E la verità, anzi le verità che emergono hanno risvolti sconvolgenti. Perché - al di là delle dinamiche di un partito che di lì a poco avrebbe preso in mano le redini della Germania sconvolgendo i destini del mondo intero - ne esce un ritratto di “zio Alf” sconcertante, anche proprio per quello strano rapporto con la nipote, altro che semplice tutore, fonte di indignazione e scandalo sia tra le fila dei suoi nemici sia tra i suoi stessi collaboratori. Erano sempre insieme, “zio Alf” e Geli, e le dicerie sul loro conto erano persino aumentate dopo che la bella nipote si era trasferita nell’appartamento del tutore.
Questa storia, la storia che poteva cambiare la Storia anche se ciò poi non è accaduto, è stata l’oggetto di dieci anni di studi e ricerche condotte dall’autore. Perché Fabiano Massimi è vero, si permette qua e là qualche libertà da scrittore, ma tutti gli elementi cardine del racconto sono reali e documentati. Anzi, più appaiono al lettore perfino incredibili e più invece sono cronaca fedele. Ma quanto c’è di vero nel lavoro di Massimi, ad esempio nei rapporti tra “zio Alf” e la bella Geli? «Naturalmente non ho modo di saperlo - scrive lo stesso autore in una nota - ma è importante precisare che quanto ho scritto al riguardo viene da fonti pubblicate». E del resto è da sempre cosa nota la venerazione del Fuhrer per la ragazza, tanto che per tutta la vita volle poi che in ogni abitazione o ufficio a sua disposizione ci fosse un suo ritratto.
Storia, dunque. Ma anche finzione. Perché “L’angelo di Monaco” è un romanzo, costruito dall’autore con l’arte raffinata del maestro alchimista del giallo. E il giovane bibliotecario modenese Fabiano Massimi, sebbene sia alla sua opera d’esordio, sa mantenere con attenzione un abile quanto coraggioso equilibrio. Non è facile gestire un argomento così delicato con tanta eleganza. E non a caso il libro è stato il fenomeno letterario dell’anno alla Fiera di Londra, dov’è stato acquistato prima ancora che uscisse in libreria in oltre dieci Paesi.
Un giallo appassionante, con i riflettori che si accendono a illuminare un cold case, un episodio di cronaca della Monaco del 1931, ma anche il clima che si respirava alla vigilia di sconvolgimenti terribili, un terreno già popolato di nomi che avremmo poi conosciuto: Adolf Hitler, certo, ma anche Rudolf Hess, Hermann Göring, Heinrich Himmler, Joseph Goebbels, Eva Braun. Un momento storico - la vigilia della presa del potere da parte del Partito nazionalsocialista di Hitler - sul quale il commissario Mutti Forster dice: «Io non li capisco, questi fanatismi razziali. Bavaresi, tedeschi, ariani, ebrei… Che differenza fa? Siamo tutti poveracci che si arrabattano sotto il sole. Hitler dovrebbe smetterla di insistere su questo tasto, concentrarsi sui problemi veri della gente. Ma sai com’è: la ricerca del consenso…». E anche questo lascia riflettere. Sull’ieri, ma pure sull’oggi. —
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