Geia Laconi, sull’Appennino vive la figlia dell’Uomo tigre
la moglie di Folco Terzani presenta il suo libro sabato alla Lovat di Trieste

Geia Laconi, autrice del memoir “Figlia dell'uomo tigre. Alla scoperta di un padre perduto e della corrente luminosa che unisce mondi lontani” (Giunti, pp. 213, euro 17) sarà a Trieste per la presentazione di questo suo primo libro sabato alla Libreria Lovat alle 18.

Geia Laconi nasce sull’isola di Sumatra nel 1979 da madre fiorentina e padre indonesiano. La madre è una giovane hippie, piena di idee anti-establishment, che ha cercato una via di fuga da Firenze e dal conformismo borghese della sua famiglia, viaggiando in Africa. A Karthoum conosce un ragazzo indonesiano, il suo nome è Laconi. 'Nomen omen', si potrebbe dire, perché il giovane tanto è bello e atletico, quanto è laconico e introverso. I due vivono un avventuroso sogno d'amore e insieme raggiungeranno il villaggio del ragazzo a Sumatra, dove si sposeranno e dove nascerà la piccola Geia, ovvero l'autrice di questa sofferta storia di un difficile rapporto filiale.
Fino a qui la vicenda si dipana con toni che la ripetuta narrazione orale dei fatti nell'ambito familiare ha finito per rendere leggendari e soffusi di animistico lirismo. La magia si spezza con l'irrompere della realtà, e la madre di Geia, sempre irrequieta e scontenta, decide che non può seguitare a vivere in Indonesia col clan del marito e torna a Firenze dai propri genitori. Lì la famiglia si frantuma. La società italiana non è inclusiva e ospitale come quella del villaggio vicino alla giungla a Sumatra. Laconi a Firenze ha difficoltà a trovare lavoro, lui - che nei viaggi nel cuore dell'Africa era un uomo pieno di risorse, inventiva e coraggio - qui è un emarginato costretto a fare i lavori più umili.
Se a Sumatra era un principe, l'ultimo erede dell''Uomo tigre', in Italia Laconi è un paria. A Firenze si arrangia lavorando di notte come pasticciere, e vive separato da moglie e figlia in un'umida stanzetta. Quando la va a prendere a scuola, Geia si vergogna di suo padre, tanto che in un passaggio di brutale sincerità, che suona ancora più scioccante dopo le mitopoiesi create fino a quel momento, l'autrice scrive: «Per qualche anno i contatti sono stati minimi e io mi sono allontanata fino al punto di vergognarmi di lui, di rifiutarlo e, infine, piuttosto che vederlo soffrire come una bestia, di sperare che non esistesse più».
Gli anni passano, la famiglia si ricostituisce, e vi sono viaggi in Indonesia. Geia cresce a Firenze dove si laurea in Scienze della Formazione, ma si porta addosso la propria diversità che, come emargina il padre, finisce per emarginare anche lei, perché non trova gli strumenti per accettare se stessa. Il mondo d'origine del padre inizia ad attrarla sempre di più, vorrebbe parlarne con lui, ma è troppo tardi perché un incidente col motorino (un Ciao! mai ve ne furono di più inaffidabili) lo strappa alla vita mentre Gaia è ancora all'università. Il resto è una vita alla ricerca di venire a patti con la perdita di un genitore nei confronti del quale l'autrice prova un amore immenso.
Dopo molti viaggi ed esperienze all’estero (Indonesia, Thailandia, Malesia, India, Stati Uniti), oggi Geia Laconi vive felice in un piccolo paese sull’Appennino tosco-emiliano, in mezzo ai boschi, con un marito ideale, Folco Terzani (il figlio di Tiziano) e i loro due bambini. Questo racconto di una vita, non privo di alcune ingenuità e facili psicologismi, è a tratti molto commovente. Una storia dove a parlare è anche il silenzio. Quello di un padre nato in Oriente e dunque schivo, restio. E il silenzio di una figlia che, pur essendo nata nel suo stesso Paese, viene poi allevata nella buona borghesia fiorentina degli anni '90. Un silenzio che esplode dopo la morte del padre, per iniziare a parlare nei mille linguaggi della natura, dietro cui si cela il volto sempre sorridente di Laconi.
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