Francesca Neri al Magazzino 18: «Con papà Pisino era casa nostra»
«L’idea di famiglia, patriottismo e appartenenza ad un Paese, l’ho sentita molto più forte con la comunità di esuli che non da italiana». Francesca Neri è sinceramente emozionata uscendo dalla visita al Magazzino 18, in Porto Vecchio, dove sono raccolte le masserizie degli esuli. Perchè l’attrice, ospite dell’International ShorTS Film Festival, che le ha dedicato una retrospettiva, ha potuto toccare con mano una parte del suo passato: è figlia di un esule istriano, partito negli anni ’40 da Pisino.
Per suo padre la ferita è rimasta così profonda che non ha più voluto tornarci. Ma l’identità istriana è rimasta sempre forte. «Da quando ero bambina, fino alla maggiore età, ogni anno ho partecipato con la mia famiglia ai raduni degli esuli istriani qui a Trieste, e anche a quelli dei pisinoti in giro per l’Italia. Quegli esuli erano la mia famiglia istriana», racconta l’attrice.
Francesca entra nella prima sala dove campeggia la foto degli abitanti di Pola che s’imbarcano sulla nave “Toscana” dal molo imbiancato, e si accende: «Anche mio padre mi ha raccontato di essere partito da Pisino proprio così, in mezzo alla neve».
L’attrice sfiora gli oggetti con delicatezza, sfoglia i quaderni di scuola, resta colpita dal groviglio di sedie mute e ammassate, ognuna testimone di un passato intimo: «Sembrano tante mani che chiedono aiuto. È incredibile l’emozione che suscita guardare questi oggetti quando si conosce la storia che hanno dietro», commenta.
Francesca, cosa significa per lei essere qui dentro il Magazzino 18?
«Per me ha un significato fortissimo. Questi oggetti sono in qualche modo parte del mio modo di crescere. Ai raduni degli esuli incontravamo quello che in Istria era magari il vicino di casa, il collega, il medico del paese, e proprio in quelle occasioni anche mio padre e mia nonna si lasciavano andare di più ai ricordi, forse perché si sentivano più protetti».
In famiglia, invece, suo padre parlava dell’esodo?
«Non molto. Forse per un fatto di dignità: c’era questo odio nei confronti di un paese che li aveva usurpati, che gli aveva tolto tutto, dall’identità alla casa. Perciò sono cresciuta in questa interpretazione della storia che però poi, da figlia, vivendo in Italia, non ho visto riconosciuta a dovere. La loro sofferenza e il loro passato sono stati spesso strumentalizzati politicamente».
Dov’è andato suo padre, una volta partito da Pisino?
«Nel campo profughi di Savona, poi a Sanremo. La notte faceva il croupier al casinò di Sanremo, di giorno studiava all’Università di Milano. Tutta la famiglia poi si è trasferita a Trento e lì ha conosciuto mia madre».
In famiglia si parlava della scelta dolorosa del partire o del restare?
«Per loro non è mai stata una scelta, restare non era concepibile. Però il legame è rimasto fortissimo: mio padre riceveva a casa due notiziari, il pisinoto e l’istriano, dove si raccontava se qualcuno aveva avuto un figlio, chi era mancato… come se la comunità proseguisse a distanza. Anche io e mio fratello sentiamo forti queste radici».
Ha visto lo spettacolo di Simone Cristicchi sul Magazzino 18?
«Sì, ma purtroppo solo in televisione. Mi è piaciuto soprattutto perché è riuscito a dare il senso di questa perdita pur non essendo coinvolto direttamente».
In questi giorni sta girando il nuovo film di Aldo Giovanni e Giacomo “Il ricco, il povero e il maggiordomo”. Come vanno le riprese?
«Mi sto divertendo molto, mi ricorda i set con Massimo Troisi o Carlo Verdone, dove c’era un clima da commedia anche nella lavorazione. Interpreto una funzionaria di banca che ha per cliente Giacomo, “il ricco”, ma poi entra in contatto con tutti e tre. Ho scoperto che sono persone molto vere e semplici. E si sorprendono ancora, cosa rara per chi ha avuto successo ».
E lei, si sorprende ancora?
«Eh sì, più che altro vivo per essere sorpresa. Tant’è vero che a ottobre girerò un’opera prima, di Mirko Pincelli, la storia di persone che vanno a vivere a Londra per trovare successo, scappando dalla provincia. Che poi è Trento: così, per la prima volta, girerò nella mia città».
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