Fra Trieste e Grado si consuma il “Salvamento” di una generazione debole di quarantenni rimasti adolescenti

Esce oggi per Bollati Boringhieri il romanzo d’esordio della triestina Francesca Zupin. Storia di sentimenti e disincanti di un gruppo di ragazzi che non riescono ad assere adulti

Mary B. Tolusso

TRIESTE Un po’ come il narratore de “Il grande Gatsby”, l’autrice triestina che risiede a Dubai, Francesca Zupin, con “Salvamento” (Bollati Boringhieri, pag. 368, euro 17,10), da oggi nelle librerie, al suo esordio nella narrativa, ci racconta le contraddizioni di un’epoca, focalizzate in una generazione, quella degli attuali quarantenni, più simili a degli adolescenti: «Volevo raccontare le contraddizioni interiori dei protagonisti. Tuttavia un elemento è emerso con prepotenza: la loro incapacità di staccarsi da simboli e dinamiche della giovinezza – osserva l’autrice – per entrare in una nuova fase della vita con coraggio, consapevolezza, autenticità. Nessuno dei personaggi accetta di essere adulto, e questo è un tratto che riscontro in tanti miei coetanei. Ecco dunque la contraddizione di questa fase storica, almeno per la mia generazione: abbiamo quarant’anni, ma ce ne sentiamo diciassette. Siamo molto vanitosi e altrettanto insicuri e mi viene in mente che vanità e insicurezza sono temi fondamentali anche in Gatsby».

Un romanzo di formazione tramite la storia di tre adolescenti, Stella, Giulio e Bobo. Cosa li unisce e cosa li separa?

«Diversi per carattere, obiettivi, attitudine verso il mondo esterno, i tre ragazzi sono simili nella brutale e necessaria ricerca di un’identità (che non tutti troveranno). Li accomuna, inoltre, l’amore per la musica, l’arte, la poesia – un amore, per l’appunto, adolescenziale, a volte superficiale e saccente, tutto volto a capire chi sono, a costruirsi, a tentare di colmare una qualche mancanza. Forse è questo ad unirli, più di tutto il resto: la percezione di un pezzo mancante, di un desiderio, di una nostalgia».

Lei attraversa un bel po’ di storia letteraria e musicale con molti rimandi extratestuali. Sono i suoi autori?

«Sì, tutti. Dico spesso che non sono capace di scrivere di ciò che non conosco. Ecco, non so nemmeno citare ciò che non conosco e non ha avuto un impatto sul mio sguardo sul mondo. L’inclusione di tanti rimandi extratestuali non vuole essere semplice esibizione o esercizio di stile: musica, arte, letteratura si impastano con la nostra quotidianità, e influenzano i nostri pensieri, le azioni – tanto più quando abbiamo diciassette anni. Volevo trasmettere quanto di quel che siamo sia il prodotto di quest’amalgama».

Al centro Trieste, ma anche Grado. Lei vive in Arabia Saudita. Il romanzo è anche un omaggio alla sua città?

«Sì, forse più all’idea di Trieste che porto dentro, come se fosse un ricordo o un topos, appunto, da romanzo. Vivo i luoghi (come, temo, tutto il resto) sempre a cavallo tra percezione reale e idealizzazione. Certo questa città, nella sua geografia, è una scena teatrale perfetta per ospitare le mie storie».

Costruisce anche una sorta di vocabolario sociale ed emotivo con alcune parole chiave. Come le ha scelte?

«Sono arrivate. Si sono imposte. Ci sono momenti in cui, scrivendo, non si sente il bisogno di selezionare o pianificare. Sono forse i momenti in cui chi scrive tocca il cuore di quel che sta raccontando, e di cui magari non ha nemmeno piena consapevolezza. Alcune di queste parole sono evocative, legate al piano emozionale; altre, prosaiche e quasi banali. Ma tutte sono, davvero, parole chiave, e aprono una porta su un mondo molto ampio che io stessa devo ancora scoprire appieno».

Scrive che si sceglie chi ci protegge con l’affetto rispetto a chi ci destabilizza con il desiderio. Un approccio che forse ha a che fare con chi ha già subito delle perdite?

«Di solito è così. Si soffre, si perde (amanti, amici, un genitore – come accade a Giulio e Stella), e poi si impara a proteggersi attraverso scelte più ragionevoli. Tiepide, mi verrebbe da dire. Questo processo viene considerato naturale, sano, come se andasse di pari passo a una necessaria maturazione emotiva, forse perché garantisce anche una stabilità sociale. Ma io, proprio come Stella, continuo a credere che il desiderio sia l’espressione più vera di chi siamo. Anche quando distrugge».

Cos’è la mancanza?

«Ognuno ha la propria, quindi risponderei: quello che ci rende unici. E che, assurdamente, ci rende interi».

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