“Fiori sopra l’inferno”: arriva in tv Teresa Battaglia, la profiler creata da Ilaria Tuti

Lunedì 13 febbraio la serie tv con Elena Sofia Ricci, per la regia di Carlo Carlei: «Abbiamo girato dove c’era neve. E poi l’abbiamo trasportata dalla quota coi camion»
Elisa Grando
Elena Sofia Ricci in “Fiori sopra l’inferno”, su Rai Uno: è girato in regione con la regia di Carlo Carlei
Elena Sofia Ricci in “Fiori sopra l’inferno”, su Rai Uno: è girato in regione con la regia di Carlo Carlei

TRIESTE Il bosco abbagliante di neve tra Malborghetto, Valbruna e Camporosso, sovrastato dalla bellezza maestosa delle Alpi Giulie, nasconde un terribile segreto. Un uomo è stato ucciso, la figura misteriosa di un assassino si aggira tra alberi e il ghiaccio. Il compito di scoprire chi è spetta al commissario Teresa Battaglia, che dai romanzi della scrittrice friulana Ilaria Tuti arriva in televisione nella serie “Fiori sopra l’inferno”, prodotta da Publispei, in onda da lunedì 13 febbraio su RaiUno e poi per altri due lunedì. Il tarvisiano diventa il paesino di Travenì, a incarnare il commissario è Elena Sofia Ricci e dietro la macchina da presa c’è tutta l’esperienza di Carlo Carlei, che ha partecipato anche alla sceneggiatura. Ridurre un libro di quasi 400 pagine (“Fiori sopra l’inferno”, il primo bestseller di Ilaria Tuti, è edito da Longanesi come tutti gli altri suoi libri) non è compito semplice: chi conosce il romanzo troverà molte differenze tra la pagina e lo schermo. Ritroviamo la squadra di Battaglia, ovvero l’ispettore capo Parisi, interpretato da Gianluca Gobbi, e il giovane ispettore Marini, l’attore siciliano Giuseppe Spata. Nel cast anche l’attore triestino Lorenzo Acquaviva, nel ruolo del questore Ambrosini. Ma il centro rimane lei, Teresa, profiler eccezionale, leader dai modi tranchant, donna spigolosa e diretta che nasconde tante fragilità: è diabetica e comincia a soffrire di Alzheimer. E ha a cuore soprattutto i bambini, importantissimi in questa miniserie.

Carlei, com’è la Teresa di Elena Sofia Ricci?

«Il personaggio era tutto nel libro. Con Elena siamo stati attenti a dosare le tempistiche e l’energia con le quali Teresa cominciava a sentire i primi sintomi che le fanno pensare che qualcosa non va, un senso di obnubilamento della ragione mentre si trova a indagare nel caso più difficile della sua carriera».

Come avete trasposto il materiale del romanzo nella sceneggiatura?

«Doveva essere per forza compresso: un libro si può permettere delle divagazioni, o il dialogo interiore. Bisogna tradurre questi elementi in linguaggio visivo con degli escamotage: il dialogo interiore, per esempio, può diventare dialogo tra personaggi. Anche la logica narrativa cambia sullo schermo».

Nel libro, per esempio, l’omicidio s’intreccia con la back story del passato di due bambini tenuti prigionieri da dei carcerieri…

«Lì c’è la genesi del mostro che terrorizza Travenì: nel romanzo sono capitoli separati che fanno intuire al lettore una condizione di causa ed effetto con il presente. Nella serie ho usato un escamotage visivo, una serie di registrazioni video fatte dal carceriere, una videocassetta che avrà un ruolo importante nel corso della storia. E in un certo senso moltiplica l’effetto drammatico».

A Ilaria Tuti la serie è piaciuta?

«Sì. Ilaria è venuta più volte sul set, gli sceneggiatori che hanno lavorato al progetto ancora prima di me si sono avvalsi della sua consulenza. È stata una presenza preziosa e discreta».

Come sono andate le riprese nella neve?

«Non volevo imitare i cosiddetti noir nordici ambientati in Norvegia, cancellando con la neve la specificità del territorio italiano. È stato fondamentale girare anche a Udine e gli interni a Roma. La storia però doveva essere ambientata nella stagione pre-natalizia: vediamo la processione dei Krampus che avviene sempre il 5 dicembre. Per motivi di produzione le riprese sono partite la seconda metà di marzo. Abbiamo girato in tutte le località in cui c’era ancora neve, quando ha cominciato a scarseggiare l’abbiamo presa più in quota e trasportata sul set con dei camion».

Tra Gorizia, Udine e Trieste ha girato nel 2015 anche la miniserie “Il confine”. Com’è stato tornare in regione?

«In entrambe le occasioni mi sono trovato benissimo sia con la Friuli Venezia Giulia Film Commission che con le persone del territorio: la gente ci ha aperto le case. L’aiuto della Film Commission poi è fondamentale nella parte della preparazione, per trovare le location giuste, come supporto logistico per i permessi, le comparse e tanti altri aspetti pratici che facilitano il lavoro».

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