Ferruccio de Bortoli: «Prima o poi lo Stato dovrà finanziarsi con nuove tassazioni»

Quando, lo scorso anno, Ferruccio de Bortoli aveva dato alle stampe “Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica” la pandemia non era ancora emersa. Ora che il Covid ha costretto a ripensare al presente (e al futuro) il popolare giornalista, due volte direttore del Corriere della Sera, ora suo editorialista nonché presidente di Longanesi, è nelle librerie con un nuovo lavoro, sempre pubblicato da Garzanti (pagg. 160, euro 16): “Le cose che non ci diciamo (fino in fondo)”, verità tristi, difficili da ammettere che de Bortoli ci sbatte in faccia pur con l’eleganza e lo stile che lo contraddistinguono.
Quali sono le cose che non ci diciamo fino in fondo?
«Non ci diciamo - risponde de Bortoli - che non è possibile fare debiti all’infinito: viviamo nella curiosa condizione in cui il capitale sembra non avere un costo e il debito sembra essere qualcosa di leggero, tant’è vero che di lotta agli sprechi, di “spending review”, si è smesso di parlare. Inoltre, non ci diciamo che lo Stato non può far tutto: non può sussidiare, proteggere sempre. Solo puntando sulla produttività, sul merito, sugli investimenti torneremo a crescere. Quella del diritto al benessere è un’idea perversa: per riprenderci ci vorranno sacrifici».
Certe cose non vogliamo o non dobbiamo dircele?
«Viviamo in un eterno presente, senza l’impegno di costruire un futuro. Siamo una società con un’età media molto alta e alcuni anziani pensano che il mondo finisca con loro, mentre, per fortuna, andrà avanti con le nuove generazioni, che hanno dei diritti. E poi alcune cose non le sappiamo per davvero: per esempio, di avere un capitale umano così forte, competitivo pure in alcune attività economiche. Altre cose, inoltre, non le vogliamo proprio sapere: se le volessimo sapere non ci illuderemmo di poter pagare meno tasse. Ma lo Stato prima o poi dovrà finanziarsi e se è giusto che i cittadini in difficoltà vengano aiutati, altri, che non lo sono, è giusto che compiano uno sforzo di solidarietà».
Si riferisce alla patrimoniale?
«Sono contrario alla patrimoniale: ha effetti recessivi e rischia di far pagare più tasse a quelli che già le pagano. E poi di patrimoniali ne abbiamo già abbastanza. Vorrei invece che venisse ripristinata una progressività nella tassazione, che oggi è in parte scomparsa, visto che l’Irpef non la pagano quasi la metà degli italiani. E poi sarebbe assolutamente necessaria una seria lotta all’evasione fiscale».
Il fatto che il Covid non abbia colpito solo l’Italia può renderci un po’ meno preoccupati?
«No, assolutamente: solo alla fine della seconda ondata, e sperando che non ne arrivi una terza, si dovranno fare i conti per quanto riguarda economia e salute. Allora, sarà possibile capire se abbiamo difeso le vite dei nostri anziani e il benessere delle nostre attività produttive meglio di altri Paesi: se, insomma, abbiamo praticato un giusto mix tra salute e lavoro. Resterà, tuttavia, un interrogativo, molto importante: perché l’Italia ha un tasso di letalità più elevato di altri Stati? I posti di terapia intensiva che molte regioni, colpevolmente, quest’estate non hanno provveduto ad aumentare, non rappresentano infatti una sufficiente risposta».
Nel complesso, come si sta comportando il governo Conte?
«Le responsabilità non sono soltanto sue. Di fronte a una seconda ondata, che doveva però trovarci più preparati, non poteva ricorrere a un altro lockdown totale, per non uccidere molte attività economiche. Un approccio di tipo differente, per esempio “colorando” le regioni a seconda dell’andamento del contagio, era prevedibile. Certo, una maggiore condivisione tra Governo e amministrazioni locali sarebbe stata necessaria e l’eccessiva litigiosità tra le istituzioni ha disorientato i cittadini che si sono rivelati relativamente disciplinati e molto pazienti. La pazienza, però, non è mai infinita». —
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