“Faith” alla Berlinale dentro una comunità di monaci senza colore

Ventidue persone che hanno compiuto una scelta estrema. Si fanno chiamare “guerrieri della luce”, si professano cristiani e vivono ritirati dal mondo a Montelupone, in un monastero nelle colline marchigiane. Dal 1998 si preparano ad affrontare una guerra apocalittica e, quando arriverà, saranno pronti a proteggerci. Per questo si allenano duramente giorno e notte. Pregano e praticano arti marziali. Sono autosufficienti, allevano animali e coltivano l’orto, raccolgono il cibo in scadenza al supermercato. Si rasano i capelli e vestono di bianco. Il Maestro è la loro guida. Nel giorno del divo Javier Bardem, star di questa 70° edizione della Berlinale con pochissime concessioni al glamour, protagonista nel film di Sally Potter “The Roads Not Taken” assieme a Elle Fanning e Salma Hayek, la regista brindisina Valentina Pedicini porta il suo documentario “Faith” alla Settimana della critica del festival tedesco. «Non sono una setta», ci tiene a ribadire la doc-maker che ha trascorso in quella comunità cinque mesi per realizzare il film. «Praticano una fede contraddittoria e molto umana. Credono nel loro Maestro, Corrado Lazzarini, un uomo che dal nulla ha inventato un mondo con delle regole che tutti, all’interno della comunità, devono rispettare». In “Faith” non si giudica, si osserva. Sempre alla giusta distanza. «Anche merito della camera che ha agito come una sorta di “protezione” - aggiunge Pedicini - mi ha aiutata a delimitare il mio campo, a stabilire dei rapporti chiari. Ciò che più mi interessava era indagare un meccanismo. Siamo sicuri che le dinamiche che regolano questa piccola comunità non valgano anche altrove? Non credo che vedendo il mio film ci si possa sentire estranei. Dominio e sottomissione si trovano ovunque». «Del passato non parlano volentieri - prosegue - ma non per reticenza, è piuttosto in atto un processo di rimozione. Loro sono nati al loro ingresso in monastero». La scelta di girare in un bianco e nero espressionista corrisponde alla scelta dei monaci guerrieri di vivere una vita “senza colore”, rinunciando a i propri desideri, ma è anche un atto di difesa della cineasta e del suo direttore della fotografia Bastian Esser, che hanno trovato un modo rispettoso per mettere in evidenza luci e ombre del gruppo. «Mi hanno permesso di entrare sapendo che sarei andata in cerca della verità. “Faith” è anche un’opera testamento, l’ultimo atto di una comunità che si sta lentamente spegnendo». —
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