Ezio Bosso: «Io, ragazzaccio di Trieste»

Il pianista e compositore dall’1 ottobre è il nuovo direttore stabile residente del Teatro Verdi di Trieste

MILANO. Grinta, talento e molto cuore. È l’immagine istintiva che comunica il maestro Ezio Bosso, ormai una star internazionale della musica classica. Dall’1 ottobre sarà in carica alla Fondazione Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste come Direttore stabile residente. Le presentazioni sono state fatte ieri, al Grand Hotel di Milano, una coincidenza abbastanza straordinaria dal momento che proprio lì, nel magnifico albergo meneghino, spirò Giuseppe Verdi, 116 anni fa. Uno dei motivi per cui, su decisione con delibera straordinaria del consiglio comunale, nel 1901 il teatro decise di intitolare il nome al grande musicista.

A introdurre Ezio Bosso una cospicua delegazione triestina, dal sovrintendente Stefano Pace, al vice presidente Paolo Marchesi, il direttore generale Antonio Tasca e il direttore artistico Paolo Rodda, mentre a rappresentare il Comune era presente l’assessore Serena Tonel. Tra il pubblico anche Alessandra Abbado, amica ed estimatrice del maestro. E poi lui, Ezio Bosso, un artista che non ha bisogno di presentazione, la sua musica è commissionata dalle più importanti istituzioni operistiche mondiali, dal Royal Opera House al Bolshoij di Mosca, oltre ad aver meritato i più insigni riconoscimenti. Eppure Bosso esprime schiettezza, semplicità, oltre a talento e competenza e quella grinta passionale che la sua malattia neurodegenerativa non ha piegato di un millimetro. A Trieste ci verrà ad abitare e ha tutte le caratteristiche per diventare un vero triestino, pure lui assomiglia a “un ragazzaccio aspro e vorace”: «È vero», dice «mi ci riconosco».

Conosce la città?

«Certo, tra poco sarà anche la mia città. La conosco da sempre, quando ancora da ragazzo mi portava mio padre, oltre che a intenderla tramite la letteratura. Già nel 1997, quando venni per un concerto, amavo passeggiare per le vie e già allora pensavo: come mi piacerebbe abitare qui. Un piccolissimo scoop è che il mio medico da diversi anni mi dice che dovrei andare a vivere al mare e l’ultima volta mi sono detto: lo faccio, tanto più in questa città magica».

Cosa significa per lei dirigere?

«Per me significa prendersi la responsabilità dell’altro. Mi piace pensarmi come conduttore, non come un condottiero ed è una responsabilità enorme»

Nei sette anni in cui è stato costretto a non farlo a causa della sua malattia, qual è stato il modo per non farsi sopraffare dalla mancanza?

«Per me è stato riuscire ad accettare quello che si è, sempre. Accettare anche la propria fragilità. Poi c’è stato il pianoforte, una grande fortuna, non si diventa direttori in un giorno e non si ritorna a essere direttori in un giorno. Quindi mi sono messo a imparare e reimparare di nuovo perché il mio corpo era nuovo».

Quali sono i progetti per la Fondazione Verdi?

«Aprire le porte del teatro ai giovani e a tutta la città ed è un obiettivo che mi lega fortemente a tutta la squadra del Verdi, dall’Orchestra ai dirigenti. Tra le diverse iniziative in programma, mi piacerebbe che anche le prove fossero a porte aperte. La musica è fondamentale per la società e il Verdi porta i ragazzi a teatro non a subire, ma a conoscere musica. Ciò che conta è soprattutto la qualità, fare ricerca, migliorare e sono caratteristiche che ho ritrovato subito nell’Orchestra triestina, che è il cuore pulsante della musica. Poi c’è il direttore. Fare musica è rigore, tecnica, ma anche comunione».

È risaputo che la musica è la sua vita, quale disciplina artistica viene subito dopo?

«Le arti figurative, l’architettura e la letteratura, ogni forma di espressione alta, come diceva Goethe. Ma l’arte è anche passione, cioè essere anche disposti a soffrire per lei».

Ascolta anche musica pop?

«Ascolto di tutto, anche il rock, ma non ho una passione per le canzoni, tuttavia non esiste la musica bella o brutta. Esiste la musica fatta da chi ci crede e da chi non ci crede».

Einstein diceva che una delle esperienze più belle che si potessero fare era quella del mistero e che quindi bisognerebbe lasciare la musica al suo mistero senza cercare di spiegarla.

«Bisogna però dare i mezzi per fare e capire la musica. Il concetto di mistero equivale alla vita, nel momento in cui la musica vive è mistero, raccontare cosa c’è dietro, tutto il lavoro necessario, serve a crescere. Nel momento in cui c’è la musica ognuno avrà il suo mistero, Einstein intendeva questo, non sopportava quel voler pretendere – tipico del suo periodo – un cambiamento così ostico, cioè il fatto che dovevi essere preparato se no non valevi nulla».

Saba ha scritto che Trieste assomiglia a un ragazzaccio aspro e vorace, forse assomiglia un po’ a lei, alla sua esuberanza. Chi può fermarla?

«Come dico sempre: i gradini possono creare qualche ostacolo alla mia mobilità».

Lei conferma che arte e vita si accompagnano sempre all’ironia...

«La vita senza ironia non vale niente. Ciò nondimeno bisogna credere nelle cose. Io credo nella musica da quando ho 4 anni e quindi ringrazio questa nuova famiglia del Verdi che ci crede allo stesso modo, ognuno con le sue competenze. Crediamo soprattutto nel risveglio di Trieste e che possa essere un esempio per altri teatri».

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