Esodo: assistenza, convitti e feste di Natale per i profughi dopo il ritorno di Trieste all’Italia

Nell’ottobre del 1954 “Il Piccolo” riprese la sua storica testata continuando a dare notizia dei problemi legati alla diaspora
Luca G. Manenti

“La qualifica di profugo”, titolo di un articolo uscito il 7 ottobre 1953 sul “Giornale di Trieste”, era necessaria per coloro che, provenendo dai territori annessi alla Jugoslavia o dalla Zona B, volevano partecipare in Italia a concorsi pubblici o sbrigare pratiche amministrative.

Si trattava di un riconoscimento ufficiale sotto forma di attestato, che in base a un decreto della presidenza del consiglio il prefetto di Roma aveva la competenza di rilasciare agli aventi diritto. Gli uffici del CLN dell'Istria, anello importante in questa catena burocratica, distribuivano la modulistica e fornivano le dovute informazioni agli interessati; esercitando di fatto un potere discrezionale che non mancò di sollevare lamentele.

Il 13 dicembre il quotidiano tornò sull'argomento, riportando una comunicazione del segretario del CLN, che assicurava l'assenza di qualsivoglia “discriminazione di natura ideologica” nei criteri di selezione e, al contrario, la messa in pratica, da parte dei Comitati comunali addetti alla cernita, di severi esami per stabilire chi meritasse la qualifica e chi no.

Nella categoria degli esclusi rientravano gli elementi che si erano resi colpevoli di atti “di violenza, di persecuzione e di oppressione a danno delle comunità italiane della Zona B”. Nessuna domanda di ammissione, si precisava, era stata rigettata solo perché avanzata da persone iscritte al partito comunista.

A subire l'ostracismo degli addetti a verificare le idoneità erano coloro che avevano “attivamente cooperato nello studio e nella esecuzione dei piani delittuosi delle autorità jugoslave e della polizia politica contro gli indifesi italiani delle nostra cittadine istriane”. Certuni, insomma, sotto “il pelo candido dell'agnello” nascondevano il lupo, che andava smascherato, affinché i collaboratori di Tito, questo era il messaggio, non potessero rifarsi una verginità e usufruire di aiuti che spettavano in via esclusiva ai bisognosi.

Le notizie riguardanti gli esuli erano riportate con puntualità dalla testata, che continuò nel suo impegno a favore dei profughi anche quando, in concomitanza col Memorandum di Londra e col ritorno di Trieste all'Italia, riprese il suo nome originale. Il passaggio dei poteri dall'amministrazione militare alleata a quella civile italiana avvenne il 25 ottobre 1954. Il giorno successivo “Il Piccolo” uscì con un titolo a carattere cubitali: “L'Italia in ogni cuore”, e riprodusse la facciata del suo primo numero, datato giovedì 29 dicembre 1881, riallacciandosi così a un'esperienza che rimontava a più di settant'anni prima.

Uscito come foglio unico al prezzo di 2 soldi, solo 32 acquirenti decisero di investire nel numero d'esordio. Il periodico fondato dal ventunenne Teodoro Mayer, futuro senatore del Regno e massone altograduato, nella cui abitazione era all'inizio collocata la redazione, aveva attraversato la storia di Trieste, divenendo il punto di riferimento della borghesia cittadina di sentimenti italiani e toccando le tappe dell'impero austro-ungarico, del fascismo, del Governo militare alleato e ora dell’Italia repubblicana. In quell'ottobre 1954 il giornale si presentò ai suoi lettori orgoglioso di una biografia accidentata, fatta di luci e ombre, ma densa e unica. Alla gioia per Trieste italiana fece da contrappunto l'irrisolta questione delle terre perdute. Al “sogno”, insomma, seguiva la “realtà”, come si premurò di specificare l'autore dell'articolo “Ai fratelli giuliani” dello stesso 26 ottobre, il quale subito specificò che la felicità per l'obiettivo raggiunto rendeva, per paradosso, “più acuta la nostra sofferenza per la cattiva sorte che ha negato giustizia ai fratelli dell'Istria, di Fiume e di Zara”. Né mutarono i toni pugnaci nel raccontare l'esodo: “Cacciati dalla cieca violenza degli invasori dai loro focolari, sradicati dalle loro terre, essi trovarono qui asilo e il calore della fraterna triestinità”.

“Hanno perso tutto non chiedono nulla”, recitava il titolo di un pezzo firmato da Indro Montanelli per il “Corriere della Sera” e riportato dal “Piccolo”. Il giornalista toscano aveva preso a cuore la causa degli esuli, che voleva fossero “accolti con tutti gli onori nella collettività nazionale”. E l'assistenza non si interruppe. L'11 dicembre fu data la notizia dell'inaugurazione di un Convitto dedicato a Nazario Sauro nel vecchio edificio triestino del Ferdinandeo, messo a disposizione dal municipio “per i figli di profughi giuliani e dalmati”, ottanta in totale, fra iscritti all'Istituto nautico e studenti del locale Ateneo.

Anche nella capitale sorsero strutture apposite, come la Casa della bambina giuliana sulla via Laurentina, presso il Villaggio giuliano, inaugurata nel gennaio 1955 alla presenza del sindaco di Trieste Bartoli e del vescovo monsignor Santin. “Il Piccolo” dedicò alla cerimonia un lungo articolo, riportando il numero complessivo delle ospiti, centoventi, del personale che vi lavorava, centoquaranta, e fornendo dettagli sugli arredamenti.

Il merito dell'iniziativa edilizia andava all'Opera per l'assistenza ai profughi giuliani e dalmati, ente conscio della “necessità di venire incontro alle famiglie che avevano abbandonato i territori della Venezia Giulia e dell'Istria”. La Casa della bambina giuliana si aggiungeva a quella del bambino giuliano e dalmato, sito a Merletto di Craglia, al Convitto Fabio Filzi di Gorizia, al Convitto Capodistria con sede a Grado, al Convitto Nazario Sauro di Trieste e a due preventori ubicati a Sappada, il V Giulia e il Dalmazia.

Il 3 gennaio il giornale parlò di un'altra benemerita istituzione, il Villaggio del fanciullo di Pesaro, voluto da padre Damiani, che, venuto a contatto quand'era a Udine con le “tristissime condizioni” dei profughi, si diede da fare per lenirne le pene. L'enfasi della prosa usata per narrare le traversie del prelato, nulla toglieva alla nobiltà del suo gesto. A monte dei progetti per realizzare i luoghi d'accoglienza potevano però registrarsi tensioni politiche. Il 26 febbraio fu pubblicato l'articolo “I villaggi istriani sull'Altipiano e la convivenza tra i due gruppi etnici”, con un occhiello eloquente sui distinguo e sulle diatribe che s'accendevano in simili frangenti nel Consiglio comunale di Trieste: “Approvata la delibera per la cessione di terreni a Contovello e Prosecco malgrado l'opposizione degli sloveni e l'astensione dei comunisti”. Certamente di parte ma attentissimo a quanto si faceva e si diceva in relazione agli esuli, “Il Piccolo” continuò la sua battaglia giornalistica per difenderne la dignità.

(8 - Le altre puntate sono state pubblicate il 3 settembre, 5 e 24 ottobre, 7, 16, 22 novembre e 13 dicembre)

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