Enrico Marchetto: «Sui social quando è gratis il prodotto siamo noi»

L’esperto di marketing digitale pubblica per Apogeo un’analisi in prima persona sugli effetti e la dipendenza causata da Facebook, Instagram e le nuove piattaforme 
Conceptual illustration of a young woman on a smartphone her hair is turning into birds and flying away depicting loss of connection with the real wor...
Conceptual illustration of a young woman on a smartphone her hair is turning into birds and flying away depicting loss of connection with the real wor...

TRIESTE I social network fanno ormai parte integrante della nostra vita. Il loro utilizzo è intuitivo, per qualcuno è un passatempo divertente, per altri un canale di promozione, per altri ancora può diventare una dipendenza.

A rivelare il dietro le quinte di questo mondo ci pensa ora Enrico Marchetto con il libro “Facebook e Instagram. Strategie per una pubblicità che funziona” (Apogeo, pagg. 190, euro 21) che, appena uscito, ha già fatto il botto: la prima edizione di 1500 copie è andata esaurita in un giorno conquistando la vetta della classifica Amazon nella sezione Impresa, strategia e gestione.

Marchetto nel 2002 ha fondato a Trieste con tre soci Noiza, una delle più longeve realtà italiane del marketing digitale che cura le campagne sui social di clienti come Benetton, Velux, Promoturismo Fvg, Lazzari; insegna all’Università di Udine e di Firenze, è presidente di Trieste Città Digitale e project manager di Discover Trieste.



Ma gli utenti sanno usare davvero Facebook e Instagram?

«Le persone che sanno come realmente funzionano sono davvero poche - esordisce Marchetto -. Da un lato queste piattaforme sono pensate per un uso immediato, intuitivo, privo di qualsivoglia resistenza cognitiva tanto che appunto esistono moltissime persone che hanno iniziato a navigare in rete perché sono sbarcate prima sui social e poi hanno scoperto Internet. Da un certo punto di vista dello strumento, davvero tutti sanno usare Facebook e Instagram. Ma c’è il rovescio della medaglia, ovvero i meccanismi di funzionamento. Nel mio mondo, quello del marketing digitale, c’è una vecchia frase che riassume un po’tutto: “Quando qualcosa è gratis, il prodotto sei tu”. Certo, è una frase suggestiva ma riassume molto bene il senso del social network: ci siamo dentro, ci divertiamo, ci arrabbiamo, esaltiamo la nostra dimensione relazionale. Il problema è che paghiamo tutto questo in termini di tracciamento. Di tutto quello che facciamo, scriviamo, “postiamo” rimane traccia, sia dentro Facebook che fuori da Facebook: tantissimi siti web montano i cookie di Facebook e quindi il social network sa che stai visitando un determinato sito. Non sono in molti a conoscere questi meccanismi».

Lei è un advertiser: in che cosa consiste questo lavoro?

«Nella sua essenza è il mestiere più semplice del mondo, assomiglia a quello del postino che imbuca la lettera giusta nella cassetta delle lettere giusta: l’advertiser prova a recapitare il messaggio pubblicitario corretto al miglior target possibile. Questo è il mio mestiere, solo che invece degli strumenti tradizionali io e la mia agenzia Noiza utilizziamo Facebook e Instagram. E proprio grazie al fatto che il social network conosce molte caratteristiche delle persone, riusciamo a recapitare i messaggi al pubblico giusto. Facebook ci permette di individuare svariati segmenti di persone: gli appassionati di letteratura triestina, gli amanti del cinema, i praticanti della danza. Il gioco sta proprio nel raggiungerli nel miglior modo possibile. Con l’obiettivo finale ovviamente di massimizzare il business delle aziende per cui lavoro».

L’approccio del manuale è confidenziale e personale: è lei a parlare. Perché ha scelto questa strada quasi narrativa?

«La mia parola preferita quando parlo del mio lavoro è “dipende”. Tutto è relativo: una strategia utile per un cliente al 99% non sarà valida per un altro, e alcune cose che hai imparato e che sembravano dei pilastri intoccabili sei costretto a disimpararle alla velocità della luce perché è cambiato completamente lo scenario. La materia va affrontata con grande disincanto, lucidità e senza pregiudizio alcuno. Ho pensato che il racconto in prima persona fosse il miglior patto possibile col lettore, come se volessi dirgli: “Le verità assolute non esistono, io ti racconto come ho fatto, in totale trasparenza e sincerità. Di sicuro ti sarà utile!”».

Quali i casi più notevoli del libro?

«Lo scorso anno mi sono trovato quasi in contemporanea a gestire da un lato tutto l’advertising di un colosso come Benetton, dall’altro ad aiutare un’amica che fa la consulente per alcuni business locali, nella fattispecie una gelateria di Palmanova. Questa esperienza mi ha insegnato che Davide e Golia, il piccolo esercente e il colosso, non erano poi così dissimili. Facebook non è come Google, Google lo usi perché stai cercando cose di cui hai bisogno, sei spinto da un intento, da una domanda di qualcosa. Facebook no, Facebook e Instagram sono luoghi al cui interno prevale il disimpegno, non usi Facebook per cercare un prodotto, usi Facebook per la relazione. In questo la gelateria e Benetton sono perfettamente identici perché devono combattere con il fatto che nessuno sta su Facebook né per mangiare un gelato né per comprare un maglione colorato. Entrambi hanno un unico scopo: farti emergere la voglia di un gelato e di un maglione. E questo ti porta a scoprire che il Dna, la matrice base della pubblicità tra due realtà così diverse è decisamente molto più simile di quanto si pensi».

Un novizio che cosa può imparare da questo libro?

«Un novizio impara che gli algoritmi se preparati bene fanno il 90% del lavoro. L’intelligenza artificiale ormai è talmente tanto intelligenza che nella maggior parte dei casi distribuisce la pubblicità meglio di qualsiasi persona. Il problema è che il restante 10% del lavoro è fatto di puro pensiero strategico, di messaggio, di sensibilità umana. E questo 10% l’intelligenza artificiale non sarà mai in grado di farlo. Il novizio può imparare essenzialmente questo: che l’algoritmo aiuta a distribuire un messaggio, ma non è ancora in grado di pensare, progettare, scrivere questo messaggio».

Sembra che Facebook piaccia a chi ha più di trent’anni, mentre i ventenni amano Instagram e i giovanissimi altri social ancora.

«Un conto è ciò che va di moda, un conto sono le statistiche reali. Ci piace molto dire che Instagram è per i giovani, che può anche essere vero, ma i numeri ci dicono che su Instagram ci sono 20 milioni di italiani, su Facebook 32 milioni. E su Facebook ci sono ancora moltissimi giovani. Come su Instagram del resto cominciano a esserci una marea di over 50. Io continuo a sostenere che i social che spopoleranno ancora per molto sono sempre quei due lì: Facebook e Instagram». —
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo