Enrico Fermi, l’ultimo uomo che sapeva tutto Ottant’anni fa il Nobel a un gigante della fisica

David Schwartz, figlio del Nobel Melvin, firma una monumentale biografia del genio italiano: le scoperte, il fascismo, gli Usa
Enrico Fermi, Italian-born American nuclear physicist, c1942. Fermi (1901-1954) constructed the first working nuclear reactor, in a squash court at the University of Chicago in 1942. He won the Nobel prize for physics in 1938 for his demonstrations of the existence of new radioactive elements produced by neutron irradiation, and for his related discovery of nuclear reactions brought about by slow neutrons. Fermi is shown here in the control room of the Chicago synchro-cyclotron.
Enrico Fermi, Italian-born American nuclear physicist, c1942. Fermi (1901-1954) constructed the first working nuclear reactor, in a squash court at the University of Chicago in 1942. He won the Nobel prize for physics in 1938 for his demonstrations of the existence of new radioactive elements produced by neutron irradiation, and for his related discovery of nuclear reactions brought about by slow neutrons. Fermi is shown here in the control room of the Chicago synchro-cyclotron.



A ottant’anni dalla sua conquista del Premio Nobel l’editrice Solferino rende omaggio alla figura di Enrico Fermi con la pubblicazione di una monumentale biografia del fisico italiano a firma di David Schwartz, figlio di un altro premio Nobel per la fisica, Melvin Schwartz. Un volume che nel titolo, “Enrico Fermi. L’ultimo uomo che sapeva tutto” (Solferino, pag. 579, 24 euro) racchiude la ragione per cui Fermi è ritenuto uno dei maggiori scienziati del ventesimo secolo: fu contemporaneamente un gigante della fisica teorica e di quella sperimentale, fu definito il padre dell’era nucleare ma fornì fondamentali contributi anche alla teoria della relatività e alla meccanica quantistica. Nel suo libro Schwartz, specializzato in Scienze politiche, ne ripercorre la vita professionale e quella privata, ricostruendo la figura di uno scienziato geniale, la cui devozione alla fisica fu totale. Se Fermi non diventò famoso come Einstein, l’unico fisico che suscitò la sua invidia, forse fu proprio perché non si curò mai di questioni “altre”, né filosofiche né politiche né etiche. Alcune sue scelte che hanno fatto discutere vanno lette, sostiene Schwartz, in questo senso.

Perché ha deciso di dedicare una biografia a Enrico Fermi?

«Mio padre era un fisico delle particelle ed è scomparso nel 2006. Qualche anno dopo, scavando nei suoi archivi, trovai un articolo di un amico sul periodo vissuto da Fermi a Chicago. Mi affascinò e decisi di saperne di più su questo gigante della fisica moderna, ma scoprii che la più recente biografia in inglese di Fermi era stata pubblicata nel 1970. Perciò decisi di scriverne una aggiornata per il pubblico».

Ha letto altre biografie di Fermi per scriverla?

«Le due principali, “Enrico Fermi, fisico” di Emilio Segrè (1970) e “Atomi in famiglia” (1954) della moglie di Fermi, Laura. Ho letto anche altre biografie più brevi e naturalmente molte memorie delle persone che hanno lavorato con Fermi, sia in Italia che negli Stati Uniti».

Fermi fece molte scoperte che avrebbero meritato un premio Nobel. Quali sono le più importanti?

«Fermi vinse il Nobel per aver ideato la tecnica dei "neutroni lenti”, ovvero scoprì che rallentando i neutroni si amplificava la loro efficacia nel produrre radioattività artificiale, e per la scoperta di elementi ancora più pesanti dell’uranio, che è il più pesante elemento naturale. Solo in seguito si comprese che in realtà non aveva scoperto questi elementi: aveva diviso l’atomo d’uranio! Molti fisici sono convinti che la sua “Statistica di Fermi-Dirac”, che incorpora la teoria quantistica nella meccanica statistica, e il suo lavoro sulla teoria del decadimento beta, una forma di radioattività che produce neutrini, siano importanti quanto se non più della scoperta che gli è valsa il Nobe»l.

Perché non divenne famoso quanto alcuni dei suoi colleghi, come Einstein o Hawking?

«Nel corso della sua vita Fermi godette di una certa fama, ma non la corteggiò mai come fecero Einstein e Hawking. Inoltre, diversamente da loro, era riluttante a formulare un'opinione su argomenti diversi dalla fisica».

Nel 1938 si trasferì con la sua famiglia in America e non tornò più in Italia. Qual era il suo rapporto con gli Stati Uniti?

«Fermi avrebbe voluto trasferirsi negli Stati Uniti già nel 1930, quando trascorse l'estate all'Università del Michigan. Amava le tradizioni informali della scienza americana e gli ampi spazi aperti. La moglie Laura, però, non volle lasciare Roma finché non ne fu costretta: nel 1938 il governo italiano approvò le leggi razziali e Laura e la sua famiglia erano ebrei. Quando si trasferì negli Stati Uniti lavorò duramente per integrarsi nel suo paese d'adozione».

La figura di Fermi come uomo del suo tempo è controversa: non si fece problemi ad aderire al fascismo, né a lavorare per il progetto Manhattan o per la bomba H. Perché?

«Per Fermi la scienza contava molto più della politica e della famiglia. Divenne un membro del partito fascista perché così avrebbe potuto continuare con le proprie ricerche. S’imbarcò con reticenza nel progetto Manhattan, ma poiché temeva che anche i tedeschi stessero lavorando su armi atomiche sentì la necessità di ottenerle prima di loro. Fu riluttante nel raccomandare l'uso della bomba atomica contro il Giappone: a convincerlo fu J. Robert Oppenheimer solo dopo un lungo dibattito. Dopo la guerra sconsigliò uno sforzo su larga scala per la bomba all'idrogeno, che definì una cosa malvagia in sé e per sé. Che io sappia, fu l'unica volta in cui Fermi ne fece una questione morale. Tuttavia quando il presidente Truman ne ordinò lo sviluppo decise di parteciparvi, principalmente nel tentativo di dimostrare che i progetti considerati non avrebbero funzionato. Alla fine, però, Edward Teller e Stan Ulam svilupparono un progetto che funzionò».

Morì di cancro a 52 anni, anche per le conseguenze dei suoi pericolosi esperimenti. Ne era consapevole?

«Fermi era profondamente consapevole dei pericoli insiti nei suoi esperimenti. Infatti durante il progetto Manhattan evitò di avvicinarsi agli esperimenti che riteneva troppo pericolosi. Ma dal 1934 al 1935 guidò gli esperimenti sulle radiazioni indotte, maneggiando materiali altamente radioattivi ogni giorno per anni. Probabilmente era più sensibile ai pericoli radioattivi che potevano ucciderti immediatamente rispetto ai rischi a lungo termine».

Fermi è più noto in Italia o negli Stati Uniti?

«Fermi rimane molto più noto in Italia che negli Stati Uniti. In Italia non c'è quasi una città o un paese che non abbia una strada, una piazza o una stazione ferroviaria che prende il suo nome. Negli Stati Uniti è stato in gran parte dimenticato, anche se il nostro più grande laboratorio di ricerca sulla fisica delle particelle porta il suo nome, così come un importante reattore nucleare, un telescopio a raggi gamma e una scuola superiore nello Stato di New York».

Che eredità ci ha lasciato?

«La sua eredità è uno dei motivi principali per cui le persone dovrebbero conoscerlo meglio. Ha praticamente creato da solo la grande tradizione della fisica italiana, portata avanti dal suo allievo Edoardo Amaldi e più recentemente da fisici come Carlo Rubbia e Fabiola Gianotti. La "statistica di Fermi-Dirac" è una parte essenziale della moderna tecnologia digitale. La sua teoria del decadimento beta ha portato a più di una dozzina di Premi Nobel. Con il suo lavoro sulla fisica nucleare ha reso possibile la bomba atomica e ha inventato il reattore nucleare: circa il 20% dell'energia mondiale proviene dalla sua invenzione, così come gran parte degli isotopi radioattivi usati per il trattamento del cancro. Fu un pioniere nell'uso del computer per simulare i processi fisici, una tecnica oggi largamente utilizzata. E addestrò diverse generazioni di fisici, cinque dei quali hanno vinto un premio Nobel». —

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