Ecco perché il comunista Tito sbagliò direzione nel 1968. E distrusse il suo sogno

A trent’anni dalla morte, la figura di Josip Broz detto Tito è al centro di un profluvio di studi e ricerche che tentano di decifrarne la figura e l’opera, per così dire, alla luce non tanto di nuova documentazione, quanto piuttosto di una distanza temporale che, specie dopo lo sconquasso delle guerre balcaniche nate proprio dalla dissoluzione di quella Jugoslavia che Tito aveva letteralmente “costruito”, permette nuovi approcci di letture. Ed è quello che fa Geoffrey Swain in “Tito - Una biografia” (Librerie Editrice Goriziana, pagg. 289, Euro 30,00) corposo studio che indaga il comunista Tito, nel senso che l’autore si concentra sulla “biografia politica” del maresciallo. «Ho voluto concentrarmi - scrive Swain - su Tito comunista militante più che sul capo jugoslavo e approfondire non solo le sue relazioni con Stalin, ma anche i suoi primi contatti con il Comintern, e il successivo impegno con Chruscev ed il processo di destalinizzazione».
La tesi dello storico è che «Tito ebbe ragione fino al momento in cui cominciò a sbagliare». E il suo errore più grosso, quello che poi innescherà la dissoluzione della Jugoslavia con gli annessi massacri, fu sbagliare direzione quando, nel 1968, l’autogestione giunse al bivio.
«Tito e i suoi compagni più vicini - nota ancora Swain - erano sinceri quando, dopo la rottura con Stalin, edificarono un sistema di autogestione che negli Anni Sessanta a loro avviso offriva una soluzione pratica al concetto marxista di alienazione dal lavoro». Il problema, sottolinea ancora l’autore, è che Tito era e rimase un dittatore, per cui quando nel ’68 le mutate condizioni sociali ed economiche imposero di reimpostare un’autogestione che si era sempre basata su un concetto di Jugoslavia circondata da nemici e ancora bisognosa di essere educata la socialismo, Tito apparentemente disse sì alle nuove istanze di studenti e lavoratori, ma di fatto continuò a comportarsi da tiranno. E peciò rimase solo: «Nel 1968 -spiega Swain- impedendo all’autogestione operaia di muoversi verso quella che, lo vedeva bene, sarebbe stata una soluzione sindacale, Tito lasciò che il potere si spostasse nelle mani delle élites della Repubblica, riaccendendo la passioni nazionalistiche», e innescando così quella bomba etnica che avrebbe distrutto il suo grande sogno comunista.
Pietro Spirito
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