Ecco come la Macchina del tempo uccise la memoria della civiltà azteca

Serge Gruzinski analizza gli effetti della colonizzazione europea e della falsità imposte dai missionari cattolici dopo lo sbarco di Cortes 

la recensione



Gli Aztechi, già annientati a milioni dai Conquistadores, dovettero subire un altro insulto, lo sradicamento del loro passato, una nuova concezione del tempo, un altro abito mentale per pensare il mondo. Iniziata con i roghi dei codici dipinti dai tlacuilos, i pittori che raccontavano con i disegni le memorie del loro popolo, e seguita dall’imposizione di una nuova concezione della storia, quest’operazione di falsificazione aveva lo scopo di collocare gli amerindi all'interno di una visione del passato così come la concepivano gli europei. In questo modo la civiltà precolombiana venne cancellata da uno strumento più potente di quelli bellici e che lo storico francese Serge Gruzinski chiama “La macchina del tempo” (Cortina, pagg. 316, 28 euro). A fabbricare ex novo il passato amerindiano furono i religiosi che seguirono i Conquistadores con lo scopo di cristianizzare gli indigeni, come padre Bartolomè de Las Casas e il francescano Motolinìa. Interrogando gli esponenti delle élites indie che collaboravano con i nuovi poteri, e che per convenienza raccontavano quello che gli spagnoli volevano sentirsi dire, i religiosi costruirono un passato strutturato all’europea, vale a dire un tempo scandito in passato, presente e avvenire, laddove gli Aztechi erano portatori di una concezione circolare. In questo schema costruito a tavolino si tentò addirittura di far ricadere gli amerindi in una discendenza biblica comune con i loro colonizzatori, una forzatura inscritta nel grande disegno di evangelizzazione della chiesa. Il razzismo verso questi popoli considerati barbari e cannibali fu venato a volte da forme di pietà cristiana, e a de Las Casas si riconosce il merito di essersi battuto per alleviare agli indios le condizioni di schiavitù cui li avevano ridotti gli spagnoli. Con lo sbarco di Cortes sulle coste dello Yucatan, cinquecento anni fa esatti, l’Europa delle monarchie cattoliche iniziò dunque la conquista culturale di buona parte del mondo. La distruzione delle memorie locali fu il prezzo da pagare per la costruzione di quel processo di trasformazione che portò a un’integrazione tra indios, meticci ed europei che fece dell’America latina un grande spazio unito nel condividere la stessa memoria. Proprio quello che manca, sostiene Gruzinski, nel Vecchio mondo, dove non c’è uno spazio per poter inserire i nuovi popoli. Se vogliamo offrire una identità europea a questi newcomers dobbiamo porci il problema di come spiegare loro il passato. La via che suggerisce lo storico è ripensare la storia europea attraverso i suoi legami con il resto del mondo, andando a rileggere storici e filosofi come Giovanni Botero e Tommaso Campanella. Le loro forme di scrittura del passato, pervase da una viva curiosità per le culture non occidentali, possono indicare la maniera in cui considerare le nostre relazioni con le nuove popolazioni, per creare una memoria capace di offrire loro un patrimonio comune. —



Riproduzione riservata © Il Piccolo