E von Braun, l’eroe della Luna veniva dall’inferno di Dora

di Alessandro Mezzena Lona
Tra quattro anni, forse, lo descriveranno come un eroe. Perché Wernher von Braun, cinquant’anni fa, spinse alcuni astronauti americani a viaggiare nel cielo, a passeggiare sulla Luna. Meglio sarebbe, però, raccontare per davvero chi era il padre del razzo Saturno che portò la navicella Apollo molto lontano dalla Terra. Sì, perchè lui, prima di consegnarsi alle truppe alleate, lavorare alla sergretissima Operazione Paperclip ed entrare in America nello staff della Nasa, era uno degli uomini di punta del regime nazista. Sua, infatti, era la realizzazione dei missili tedeschi V2, con cui l’esercito di Hitler martellava l’Inghilterra. Quelle armi terribili vennero progettate e costruite all’interno di un lager: Dora-Mittelbau. Sfruttando il lavoro dei prigionieri. Scheletri umani costretti a massacrarsi dentro una serie di gallerie adibite a fabbrica degli ordigni volanti.
Molti di quei deportati erano “politici”. Intellettuali, gente del popolo, lavoratori ribelli alla follia del nazismo. Che la Storia ha dimenticato in fretta. Anche perché il loro ricordo è stato in parte offuscato da quello dei milioni di ebrei passati per le camere a gas. Uno di quei “triangoli rossi” era lo scrittore triestino di lingua slovena Boris Pahor. Che ha già raccontato la terribile odissea dei campi di concentramento nel suo capolavoro “Necropoli”.
Il ricordo di quei morti che hanno saputo opporsi al nazismo e al fascismo nel nome della libertà, però, non lo ha mai abbandonato. Tanto che, adesso, lo scrittore ormai alle soglie dei 102 anni ha voluto dedicare un libro nuovo ai prigionieri politici. Lo ha scritto in collaborazione con Tatjana Rojc, la docente e saggista che lo aveva già affiancato nella stesura di “Così ho vissuto”. Pubblicato da Bompiani (pagg. 208, euro 12), “Triangoli rossi” è una testimonianza che lo scrittore doveva assolutamente lasciare. A chi ha dimenticato, a chi non sa.
«Lavorare e morire»: questo era il destino dei prigionieri politici. Pahor, arrestato a Trieste dai domobranci, i collaborazionisti sloveni, e avviato nel gironi infernali del sistema concentrazionario nazista, dopo essere stato interrogato, chiuso dentro un armadio a muro, picchiato e umiliato dagli inquisitori tedeschi nella sua città, ripercorre la propria storia per passare in rassegna i lager attraverso cui è transitato. Da Dachau e Dora-Mittelbau, da Mauthausen a Natzweiler-Struthof sui Vosgi francesi, fino a Bergen-Belsen. Fabbriche di disperazione e morte, dove le persone perdevano ogni diritto. Venivano denudate dal momento dell’arrivo, affamate, costrette a lavorare in condizioni proibitive. Spersonalizzate fino a trasformarle in povere cose.
Di molti di loro è stato cancellato perfino il nome. Così Boris Pahor, dopo aver ricordato Anna Frank, la ragazzina ebrea passata dal nascondiglio di Amsterdam alla terribile morte nel campo di Bergen-Belsen, non può non riportare alla memoria la figura di Zora Perello. La studentessa triestina arrestata e mandata a morte a vent’anni con la sola colpa di aver creduto nell’idea comunista. Inguaribile idealista che si oppose al mostruoso progetto di trasformare l’Europa in una prigione.
E allora, il discorso ritorna a von Braun. Perché la Francia ha già ricordato, con un francobollo, la vergogna del lager di Mittelbau. Affiancando alla parola Luna quella di Dora. Riuscirà l’America a capire che con le bugie non si ritocca la Storia, non si cambia il passato? E che i personaggi da celebrare, in questa vicenda, non sono gli scienziati nazisti scappati dal Terzo Reich al momento opportuno. No, gli eroi erano quei poveri scheletri umani con il pigiama a righe. Che, a volte, riuscivano a sabotare il lancio delle V2, tarpando il volo dei terribili missili. Ma finendo i loro giorni impiccati a una corda.
alemezlo
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