E Orlan reinventa il proprio corpo l’ultimo dei tabù

La performer francese al Castello di Susans con la sua “Terapia dell’ibrido” per Maravee
Di Alessandro Mezzena Lona

di Alessandro Mezzena Lona

inviato al CASTELLO Di SUSANS

Il corpo umano è l’ultimo, vero, grande tabù del nostro mondo. Ormai non basta più rappresentarlo. Bisogna trasformarlo. Così Orlan, l’artista francese di Saint Ètienne, ha accettato la sfida. Si è messa a manipolare il proprio volto, ha mostrato le parti più nascoste e censurate, si è sottoposta a nove operazioni chirurgiche. Diventando lei stessa un ibrido. Un corpo mutante. Un avatar che interagisce con il pubblico, in tempo reale. Un tempo da Minitel, adesso dall’app Augment.

Da ieri, Orlan e la sua “carnal art” sono protagoniste di Maravee Therapy, quattordicesima edizione della splendida rassegna che Sabrina Zannier ha realizzato al Castello di Susans in Friuli. Nel maniero costruito nel 1636, e restaurato di recente dalla famiglia Gervasoni, ha trovato posto la “Terapia dell’ibrido” dell’artista francese. Fotografie mutanti che ripercorrono il cammino artistico della performer, che ha sepolto da tanto tempo la sua identità originaria: quella di Mireille Suzanne Francette Porte. Ricordando la lezione di Ben Vautier, guru di Fluxus, quando dice che «l’arte è un lavoro sporco, ma bisogna pure che qualcuno lo faccia».

Senza paura, con opere forti e “scandalose”, Orlan ha messo il dito nella piaga del grande tabù del corpo. A partire da “MesuRAGES”, dove lei stessa diventa unità di misura dei luoghi pubblici, a “Le baiser de l’artiste”, con il suo seno, la vulva, trasformati in slot machine. Fino alle operazioni chirurgiche, che l’hanno mostrata al mondo intero insanguinata, intenta a leggere pagine di grandi autori. E pronta a ospitare sul proprio volto due protesi che ricordano le “corna” del Mosè di Michelangelo.

«Quando ho iniziato la serie delle performance in sala operatoria non avevo nessun bisogno di sottopormi a operazioni di chirurgia estetica - spiega Orlan, capelli bicolori sparati verso l’alto, un giacchino arancione sull’abito blu elettrico -. Però, proprio in quel periodo, ho sentito il bisogno di avvicinarmi, di capire quello che stava diventando un fenomeno sociale molto sentito. In pratica, ho deciso di mettere il mio corpo al servizio non solo della chirurgia, ma anche della società. Accettando di ridisegnare me stessa».

Un volto, un corpo al servizio dell'arte?

«Guardando adesso la mia opera d'artista, potrei dire che c'è un prima e un dopo le operazioni chirurgiche. Nella prima parte del mio percorso c'era un forte desiderio di interrogarmi sulla mia identità e sulla cultura. Quindi sul vivere in un mondo occidentale e cristiano. Tutto quello che viene dopo si confronta con l'immaginario di altre civiltà».

Le ha chiamate "Self-hybridations"...

«Con il mio nuovo volto post-operatorio, con l'innesto di due protesi sulla fronte, ho spiazzato chi non conosce la mia arte. Non vedendomi, ma sentendo soltanto certe cose che raccontano su di me, potrebbero credere che io sia diventata un mostro. Un essere assai poco desiderabile».

Perché ha voluto trasformare il suo volto?

«Volevo sottopormi a un intervento di chirurgia estetica sovvertendone completamente il senso. Non andavo in cerca di un miglioramento del mio aspetto estetico. Anzi, intendevo capovolgere i canoni su cui si basa il desiderio, oggi così diffuso, di rimodellare il corpo per renderlo più gradevole».

Adesso Orlan è diventata un essere mutante?

«Nelle mie opere di “Self-hybridations” ho voluto confrontare, mescolare il mio volto con quello di certe sculture precolombiane, africane, indio-americane. E poi con le maschere dell'Opera di Pechino, un mondo precluso alle donne. In tutto questo ciclo di lavori, oltre all'ibridazione di culture, ho cercato anche di far incontrare la fotografia digitale con le tecniche della scultura e della pittura».

Le deformazioni del volto e del corpo la seguono da sempre: fin dal 1967, con le immagini di "Nu descendant l'escalier".

«Le deformazioni fanno parte della nostra cultura, non solo di quella africana. Fino a pochi decenni fa, in Francia, certe madri bendavano le teste dei bambini, quando la fontanella era ancora aperta, per deformare il cranio, rendere la fronte più ampia. Farli apparire più intelligenti. Da sempre viviamo in un mondo che vuole disegnare il nostro corpo, e il pensiero, a proprio uso e consumo».

Che senso ha, allora, la sua ricerca artistica?

«Il mio è un continuo interrogarmi sul senso del corpo all'interno delle diverse civiltà. Corpo su cui si esercita una pressione fortissima da parte della . società, della politica, della religione. Soprattutto il corpo delle donne, bombardato da divieti, pretese, aspettative».

Cadrà mai questo esorcismo per il corpo delle donne?

«No, sarà sempre peggio. La religione ha paura delle donne e trasmette con forza l'esorcismo nei confronti del loro corpo anche alla società".

Con "Le baiser de l'artiste", nel 1977, si è giocata il posto all'Accademia delle belle arti di Saint Étienne?

«Avevo il ruolo di docente-formatrice della scuola. Quando hanno visto il mio corpo nudo in quell'opera, con un telegramma mi hanno licenziata. Dicevano che lavori di quel tipo erano incompatibili con il mio ruolo. Sono rimasta senza soldi, senza lavoro, con la mia famiglia contro. Gli studenti hanno indetto uno sciopero, cantando canzoni in mio favore: non è servito a niente».

Più tardi l'hanno chiamata all’Accademia di Digione...

«Non solo. Da quel momento, le cose si sono messe bene. Tanto che la Fiera dell'arte internazionale di Parigi ha voluto, per festeggiare i miei trent'anni, rendermi omaggio esponendo “Le baiser de l'artiste” e dichiarandola l'opera che ha dato maggiore visibilità alla rassegna stessa. Poi, è stata esposta nei più importanti musei».

Il Centre Pompidou l'ha inserita tra le cento opere più importanti.

«E tra quelle cento opere, solo sei sono firmate da donne. Due viventi, io e Annette Messagger».

Pochi anni fa è tornata in sala operatoria...

«Non era più il momento giusto per le operazioni estetiche. Nel 2007 ho creato “Arlequin's coat” con un intervento di biopsia. Vestita da Arlecchino, mi sono fatta prelevare delle cellule che ho poi mescolato con quelle di altre persone e di animali. Per riaffermare l’interesse per l'ibridazione dei corpi e delle identità».

Adesso, spinge il corpo a farsi manipolare dalla tecnologia?

«Con la tecnologia 3D si può trasformare il corpo in maniera più libera, ma il messaggio non cambia. La colonna vertebrale del mio lavoro è sempre quella. La materia in sé è solo un mezzo che permette di mettere in scena il concetto che voglio esprimere in un preciso momento. Posso lavorare il marmo, la carne del mio corpo, la fotografia digitale...».

Pensieri forti, linguaggi accattivanti?

«Voglio attrarre il pubblico. E cerco di attivare il concetto dell'ironia, la presa di distanza dall’opera in chi si avvicini al mio modo di fare arte. Certo, quelli che non amano interrogarsi, e non sono capaci di sorridere, dicono che il mio lavoro non è serio».

Ha contaminato anche l'immaginario di Lady Gaga?

«Ho fatto causa a Lady Gaga. Accusandola di aver copiato alcune mie idee nel video “Born this way”. Non posso dire di più perché il processo è ancora in corso. Però voglio far capire la differenza tra un'opera d'arte come la mia, che non parte dall'idea di fare denaro, e il lavoro di una popstar che pesca suggestioni dappertutto. Con intenti sfacciatamente commerciali».

Ma lei ha l'appeal di una popstar...

«Mi riconoscono, mi fermano, mi fotografano. Però non sono una popstar. Mi metto in gioco per fare arte, non per accumulare denaro».

Nella sua installazione “No comment” ha messo il gioco del calcio in croce.

«È un'ossessione. Il football riempie le nostre vite, lo guardano persino nelle corsie d'ospedale. È ormai la nuova religione: razzista, nazionalista, per cui si può arrivare ad ammazzare. Così ho messo in croce una serie di video che trasmettono partite di calcio. Accanto, tanto palloni con scritti sopra i passaggi più erotici del Cantico dei cantici. Perché per le donne è assai difficile rapportarsi con un calciomane».

La sua prossima sfida?

«Un videogioco che contiene lo stereotipo di una donna molto sensuale. Quella che sognano gli uomini ignari del femminismo. Sarà un'installazione interattiva dove non si ammazza nessuno, al contrario dei videogiochi più di moda oggi. Ma ci si umanizza sempre più riparando opere d'arte rotte».

alemezlo

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