E nella Casa del Duce andarono ad abitare gli inquilini “giusti”

Nell’ambito del festival èStoria viene presentato oggi a Gorizia, alle 16 al Museo Santa Chiara di corso Verdi 18, il libro di Roberto Covaz “La casa del Duce” (edizioni Leg). Con l’autore converserà Paolo Polli. Per gentile concessione dell’editore ecco un brano del libro.
di ROBERTO COVAZ
Dicono che i muri delle case conservano l'anima di chi ci ha abitato. Solo che per ascoltarla dovremmo essere bravi a stare in silenzio con noi stessi. O fare come i gatti quando esplorano un ambiente sconosciuto: scelgono l'angolo dove adagiarsi captando l'energia positiva che in quel punto proviene dal sottosuolo. C'è una casa a Gorizia che ha un'anima buona e tragica, generosa di umanità tradita. È una palazzina dall'aspetto anonimo, oggi di proprietà dell'Ater. Si chiama la Casa del Duce. È stato Mussolini a posare la prima pietra nel 1938. La casa di Gorizia che ha un'anima buona si trova in viale Colombo, un tempo viale Corridoni. Il rione è quello di Straccis, il quartiere operaio sin dall'Ottocento. La casa dall'anima buona è l'epicentro di questa storia che potremmo definire dei "giusti" di Gorizia, vissuti male ma con dignità, donne e uomini stretti nella morsa famelica dei nazionalismi dal luglio del 1943 alla primavera del 1945 e anche oltre.
Gli inquilini della Casa del Duce sono i "giusti" di Gorizia, persone che antepongono la solidarietà agli interessi personali. I “giusti” di Gorizia non hanno mai tradito, hanno rispettato le idee degli altri, si sono aiutati, hanno combattuto perché il futuro fosse migliore.
I “giusti” di Gorizia abitano nella Casa del Duce, una casa speciale. In una Gorizia tragica racchiusa nel periodo che va dal 1938 all’aprile del 1945 ecco delinearsi e incrociarsi le esistenze di una guardia scelta della Pubblica sicurezza, di un militare dei Reali Carabinieri, di un maresciallo della Guardia di finanza, di un ragazzo adottato dal regime fascista e destinato a una fulgida carriera professionale, di un giovane che abbraccia la scelta partigiana, di una ragazza slovena alla quale sarà proibito persino l’amore.
Questi personaggi raccontano di una città sbranata da tedeschi, cetnici, titini e fascisti. Nella notte dell’umanità una fioca luce di speranza emana dalla Casa del Duce.
Ma anch’essa finirà con l’essere spenta.
Nel cortile della Casa del Duce sono messi a stendere mutande, canottiere, calzini di antifascisti e fascisti, cosiddetti fascisti solo perché indossano una divisa per sfamare la famiglia. Fascisti e antifascisti, non solo quelli che abitano nella Casa del Duce, se la fanno addosso allo stesso modo. L'occhio indagatore e pettegolo delle massaie scruta da lontano. Le macchie sulla biancheria lavata al lavatoio in riva al torrente Corno sono come le lettere di un alfabeto cifrato.
L'osservazione attenta degli indumenti stesi ad asciugare svela la verità non detta, è come un sommergibile che si eclissa e naviga nei segreti più reconditi.
Racconta, la biancheria, del reddito familiare, della frequenza con cui ci si lava e ci si cambia, se ci sono capi nuovi e dunque qualche guadagno extra.
Nella Casa del Duce c'è qualcosa che altrove non c'è. La paura è messa al bando. Gli occhi vedono, le orecchie sentono, ma la bocca tace. Sulle scale della Casa del Duce i saluti sono frettolosi ma ci si guarda negli occhi. Quei gradini che a turno le inquiline incerano non saranno mai saliti dalla soldataglia tedesca.
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