«E mo’?» diceva Bramieri: Moplen, l’invenzione di un chimico triestino

TRIESTE. Come i bambini, magari rimproverati dalla mamma, che preferiscono le merendine confezionate a una fetta di torta fatta in casa, così a quanto pare i pesci inghiottono più volentieri i frammenti di plastica dispersi nel mare che il plancton. Non svista ma libera scelta: i microscopici pezzettini si ricoprono di aggregati di alghe e batteri che li rendono più succulenti del cibo naturale.

Questo è l’ultimo atto di una storia che alla moviola ci riporta al 1952, quando l’ingegnere chimico Giulio Natta, con il suo stretto collaboratore, il triestino Piero Pino, tra il pubblico a un convegno a Essen, ascoltano la relazione del collega Karl Ziegler del Max Planck Institute. La scoperta del tedesco, il polietilene, sarebbe forse rimasta a lungo teoria, se le analogie con le ricerche di Natta al Politecnico di Milano non si fossero coniugate con l’inventiva di Piero Pino, di formazione chimico organico, che alla conferenza ebbe un tuffo al cuore. Nei mesi successivi sua la spinta determinante nel laboratorio: nevicò una polvere bianca, cristallina, ad alto punto di fusione, battezzata “polipropilene isotattico”, grandi molecole a struttura ordinata e precisa, alias Moplen. Numero di brevetto 537425 Natta, Pino, e Giorgio Mazzanti - 92 anni, ancora attivo a Ginevra - solo uno di qualche centinaio.
Isotattico vuol dire: con lo stesso ordine. Neologismo costruito sull’antico greco, perché siamo pur sempre nani sulle spalle di giganti, creato da Rosita, la moglie grecista di Natta, che interrompeva di domenica gli studiosi solo per trascinarli a messa.
Questa è una storia degli anni ’60, un caso più unico che raro in cui un accademico si rivela abile nella soluzione di problemi industriali e ha il tocco divino di “trovare l’ordine molecolare della natura, poterlo rifare” osservava Natta.
Un sodalizio, quello di Natta, iniziato nel primo dopoguerra con Giulio Giustiniani poi amministratore delegato della Montecatini, con cui si reca negli Stati Uniti per indagare il sistema di ricerca e l’organizzazione dell’industria chimica che, abbandonato il carbone, esplora il mondo della petrolchimica. Grazie al connubio di genio e finanziamenti, l’11 marzo del 1954 Natta segna nella sua agenda: “Fatto il polipropilene”, e due mesi dopo “Filato il polipropilene”. Ziegler aveva giurato che era impossibile.
A Milano “ce lo facemmo mettere nero su bianco” scrisse Giustiniani. Un colpaccio: il brevetto era italiano, rompendo per la prima volta un monopolio detenuto nel settore dall’industria tedesca. In compenso Natta e il suo staff, per un milione di dollari dell’epoca, avrebbero potuto sbirciare le carte di Ziegler. Entrambi soddisfatti. Natta e Ziegler nel 1963 otterranno il Nobel per la chimica, fama immortale come immortale è la plastica, mentre la Montecatini ne conserverà per decenni l’esclusiva, in una simbiosi tra azienda e università lineare e informale.
A far fiorire questo ramo del petrolchimico, allora àmbito inesplorato, interviene ancora la lungimiranza di Piero Pino, cacciatore di teste per la Montecatini. Inizialmente non più di dodici-quindici chimici all’anno che - una volta assunti - frequentano un corso di specializzazione al Politecnico. Poi l’esponenziale crescita di posti di lavoro, con ricadute economiche in tutto il Paese che si rimpingua, di cui è emblema il faccione gioviale di Gino Bramieri, un comico di peso per pubblicizzare a “Carosello” l’indistruttibile e duttile Moplen che porta il colore dell’ottimismo nelle case degli italiani. E mo’?
Oggi il polimero di Natta da solo rappresenta lo 0,3 del Pil mondiale. Non serve unicamente a fare bacinelle e miriadi di prodotti di uso quotidiano, ma è insostituibile nella tecnologia medica, nell’abbigliamento ospedaliero e sportivo. E se vogliamo consumare e inquinare meno dobbiamo costruire mezzi di trasporto più leggeri, con meno acciaio e più plastica: un’auto senza plastica peserebbe il doppio.
Appunto, l’inquinamento è l’altra faccia della medaglia dato che i materiali sintetici non sono biodegradabili e il pianeta in terra e in mare soffre dell’invasione degli ultracorpi che i Paesi ricchi spesso spazzano sotto lo zerbino di quelli poveri. Servirà la direttiva adottata dall’Unione Europea di mettere fuori legge alcuni articoli entro il 2021, imporre il recupero delle bottigliette entro il 2025, mentre a luglio l’Italia vestirà la foglia di fico della Plastic Tax? Tanto per segnalare che salvare il pianeta sarà costoso, a cominciare dai prodotti ecocompatibili che fanno sentire tutti più buoni, ma servono a guadagnare, tempo mentre il sistema si organizza.
Il riutilizzo del vetro consuma una quantità enorme di energia e acqua con conseguenti emissioni di CO2, anidride carbonica che danneggia lo strato dell’ozono. Un imballaggio di PET (polietilene, quello scoperto da Ziegler) leggero come una piuma consente maggiori carichi e conserva gli alimenti: in frigorifero una bistecca dura 26 giorni, un cetriolo 11. Impedendo lo spreco di cibo, l’imballaggio evita anche le emissioni di CO2 che sarebbero cinque volte superiori a quelle emesse per produrlo… Ecco le due facce della medaglia.
Invece la medaglia che Giulio Natta, dopo il conseguimento del Nobel, regalò per riconoscenza a allievi e collaboratori ne aveva una sola. Riproduceva la ‘Scuola di Atene’, l’affresco di Raffaello Sanzio in Vaticano con le effigi di 58 pensatori dell’antichità intenti a parlare tra di loro, manifesto della fiducia, invero oggi alquanto offuscata, nell’ordine del mondo.
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