E il Giappone inventò un’altra matematica superando Archimede

Sarà lo statunitense Don Zagier a raccontare domani alla Sissa di Trieste questa vicenda poco conosciuta
Di Benedetta Moro
Silvano Trieste 04/12/2016 Il Prof. Don Zagier, fotografato nella sua casa in via Cavana
Silvano Trieste 04/12/2016 Il Prof. Don Zagier, fotografato nella sua casa in via Cavana

di BENEDETTA MORO

“Wasan” sta alla matematica come il Giappone sta all’Europa. Un’equazione apparentemente semplice, se non altro per la lingua e per un superficiale gioco di incastri. Ma in realtà dietro questo intreccio si nascondono due mondi, di cui pochissimi abitanti del pianeta, pure del Sol Levante, sono a conoscenza.

È un segreto di calcoli del periodo Sakoku, la fase di isolamento nipponico a opera dei capi militari tra il 1600 e il 1857, di cui svelerà i contenuti domani alle 16 alla Sissa (in via Bonomea 265 a Trieste, aula 005) nell’ambito del ciclo di seminari di Storia della Scienza organizzato dal Laboratorio interdisciplinare della Scuola di studi superiori, il matematico statunitense Don Zagier, che lavora nel campo della teoria dei numeri ed è uno dei direttori dell’Istituto Max Planck di Matematica di Bonn, oltre che un Distinguished Staff Associate dell’Ictp.

Il suo intervento s’intitolerà "Mathematics in another world: the emergence of an independent Japanese mathematic", dove emergerà uno spicchio di storia del Paese praticamente sconosciuto.

Chi avrebbe mai detto che il Giappone, che si chiuse al mondo in particolare dal 1650 al 1720, era su cui si focalizzerà in particolare Zagier, partorì matematici in grado di produrre risultati uguali a quelli che i colleghi europei sfornarono quasi contemporaneamente, ma in modo differente? Gli "shogun" ovvero la casta dominante del Paese, avevano deciso: non esisteva qualcun altro che fosse superiore a loro.

E così le barriere nipponiche si chiusero al mondo, liberi di passare per attraccare su un’isola apposita solo gli olandesi. E mentre lo svizzero Bernouilli, il tedesco Leibniz e molto prima Archimede si adoperavano per la matematica europea, il loro collega giapponese Seki con il suo allievo Takebe operava sul letto chirurgico dando, in modo diverso, frutti matematici inaspettati e altrettanto miracolosi.

«Hanno fatto cose uguali agli europei, ma con metodi diversi di ragionamento - spiega Zagier, che ha realizzato queste ricerche con la moglie Silke - alla fine ci sono due matematiche, cosa difficile da vedere da fuori, ma i risultati sono gli stessi».

Uno slalom rapidissimo, dove a ciascuna curva Seki e Takebe trovano prima i risultati di trigonometria, seno e coseno per intenderci: un tesoretto che hanno portato a casa scoprendo tutte le formule.

L’illuminismo nipponico si è esplicitato poi nella serie infinita: se dunque Newton si scervellava per eseguire il suo metodo delle serie infinite, nello stesso periodo anche maestro e allievo del Sol levante scoprirono l’arcano.

«Non credo - dice Zagier, - vero talento precoce, basti pensare che ha studiato al Mit di Boston quando aveva solo 15 anni ed è diventato professore a soli 24 anni - che altre culture tranne quella giapponese ed europea abbiano fatto queste scoperte».

«Sembra quasi uno scherzo a dirlo - commenta poi Zagier - ma parlando di un altro lato della matematica, dei determinanti, Seki fu il Leibnitz giapponese: contemporaneamente diedero gli stessi risultati. Non si sa chi è stato il primo, perché gli esiti furono pubblicati in entrambi i casi post mortem».

Non ha importanza chi dovrebbe prendersi il merito, il paradosso è che la similitudine nippo-europea non è finita qui. La stessa cosa è vera per i numeri di Bernoulli: anche Seki li elaborò. E pure il Pi Greco ebbe la sua gloria lì in Asia con addirittura un risvolto che superò Archimede: trovando un numero non a sei cifre ma composto da ben 42. Tutti studi che poi, non avendo un successivo sviluppo, "stagnarono": l’era Seki-Takebe durò fino alla loro morte, poi «non ci furono più mente geniali».

Il periodo di isolamento terminò con l’arrivo delle navi americane che, sparando pallottole di cannone verso la costa nipponica, dimostrarono che comunque la chiusura aveva fatto perdere due secoli e mezzo di innovazione. L’imperatore cambiò rotta, reagì di petto inviando tutto d’un tratto gli scolari di alto livello a studiare in Francia e Germania per imparare la fisica e la chimica «perché - spiega Zagier - il loro livello culturale era molto alto ma quello scientifico e militare troppo basso. Hanno fatto così bene che 30 anni dopo il 1895 fecero la guerra contro la Russia e la vinsero altrettanto contro la Cina e mentre alla fine con gli Usa, nel 1941, hanno perso».

E oggi nessuno più ricorda tra la maggioranza dei giapponesi tutte queste cose: «Molto strano - commenta il matematico -, solo ora si sono pubblicati tre, quattro libri popolari sulla vita di Seke».

Un motivo forse c’è: dopo l’apertura del Paese è stato proibito in tutte le scuole il metodo matematico giapponese, obbligando gli allievi a studiare quello europeo.

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