È di Widmer il primo volo da Trieste a Roma

Domani alla Lovat la presentazione del libro di Mauro Antonellini che rievoca la figura (dimenticata) del pionere triestino
Gianni Widmer a bordo del suo Blériot con l'alabarda. Il pilota triestino è stato uno dei grandi pionieri dell'aviazione
Gianni Widmer a bordo del suo Blériot con l'alabarda. Il pilota triestino è stato uno dei grandi pionieri dell'aviazione

Fu lu il primo, nel 1911, a compiere la trasvolata da Grado a Trieste. E fu ancora lui, un anno dopo, del 1912, a compiere il primo raid da Trieste a Venezia in occasione dell’inaugurazione del ricostruito campanile di San Marco. E sempre lui, nel 1914, per la prima volta unì in volo Trieste con Roma. Aveva poco più di vent’anni.

In seguito avrebbe volato varie volte sui cieli del Balcani, a Vienna ma soprattutto in Italia. Nella Repubblica di San Marino gli hanno persino dedicato un monumento, visto che fu il primo aviatore in assoluto ad atterrare e decollare nella piccola repubblica.

A Trieste, invece chi si ricorda di Gianni Widmer, uno dei grandi pionieri dell’aviazione? Nato a Trieste il 25 aprile 1892, morto in un incidente di motocicletta a Cerro di Laveno, sul Lago Maggiore, nell’ottobre del 1971, Widmer è uno dei figli più illustri e dimenticati di Trieste. Adesso un appassionato di storia del volo, componente del Comitato scientifico del Museo Francesco Baracca di Lugo, Mauro Antonellini, gli ha dedicato una splendida biografia, “Gianni Widmer - Aviatore di frontiera” (Casanova Editore, pagg. 252, Euro 25,00), un elegante volume ricco di fotografie d’epoca inedite e illustrazioni, con testo inglese in appendice. Il libro sarà presentato domani, alle 18, alla Libreria Lovat di Viale XX Settembre a Trieste, da Mario Tomarchio, presente l’autore.

Frutto di anni di ricerche, il libro di Antonellini ci restuisce non solo la figura di uomo che dopo esserne stato uno dei pionieri ha dedicato la sua vita al volo, ma anche la fotografia di una stagione straordinaria di Trieste, più viva e attiva che mai alla vigilia della prima guerra mondiale.

Di famiglia italofona e irredentista, allo scoppio del conflitto Widmer abbandonò Trieste per rifugiarsi in Italia, diventando collaudatore alla Società Idrovolanti Alta Italia di Sesto Calende. Tornò nella città natale alla fine del conflitto diventando istruttore alla Scuola di volo di Portorose e comandante dello scalo di Trieste della Sisa, la prima compagnia aerea italiana costituita proprio a Trieste. «Widmer - nota Antonellini nel libro - può dunque essere definito “un aviatore di frontiera”: per le sue imprese di pioniere del volo è considerato italiano dagli italiani, austriaco dagli austriaci e sloveno dagli sloveni». Forse è per questo che a Trieste non c’è nemmeno una via che porta il suo nome.

La stagione pionieristica di Widmer è quella in cui il volo richiamava folle di spettatori, raid e traversate erano gare ben pagate che spostavano ogni volta più in là il limite della sfida nei cieli, e vedere un apparecchio sfrecciare tra la nuvole era un’esperienza indimenticabile.

Widmer, il triestino pioniere del volo

Per la sua conformazione geografica e per il clima Trieste era - ed è ancora - una città decisamente poco adatta al volo. Per questo una delle prime piste sorse nella Valle di Zaule - più o meno dove oggi ci sono gli impianti della Siot - alla quale, nella settimana aviatoria organizzata fra il 30 luglio e la domenica 6 agosto 1911, partecipò anche Widmer. Al raduno il giovane pilota arrivò già famoso: pochi giorni prima, partendo dalla spiaggia di Grado con il suo Blériot contrassegnato dall’alabarda bianca in campo rosso, aveva compiuto la traversata da Grado a Trieste. Era stato il primo triestino in assoluto a sorvolare il colle di San Giusto e, quando atterrò al Molo V a Sant’Andrea, lo fecero salire su un’auto che raggiunse il centro città a passo d’uomo, in mezzo a una folla di quarantamila persone festanti.

Antonellini ricostruisce nel dettaglio le imprese aviatorie di Widmer, in un racconto dove l’eccezionalità di quelle avventure appare in tutto il suo fascino. Allora i piloti (e le donne-pilota, come la bella Rosina Ferrario, o la francese Jeanne Pallier, o l’austriaca Lily Steinschneider, e molte altre) che volavano su aeroplani dotati di motori dalla potenza di un vespino cinquanta erano famosi e osannati più dei piloti di Formula uno di oggi. C’era la percezione netta da parte della gente che in quelle imprese era in ballo molto di più di un record sportivo: lì, fra e le macchine volanti fragili come aquiloni si stava disegnando un futuro che avrebbe riguardato l’umanità intera.

Perciò appaiono tanto più straordinarie le imprese di Widmer, come il raid da Trieste a Roma, impresa che oggi appare ammantata di significati non solo sportivi. Il primo tentativo, nel 1913, fallì (fu in quei giorni, durante una delle tappe, che il trasvolatore atterrò a San Marino dove venne accolto come un eroe). Ma l’anno dopo, nel marzo del 1914, a pochi mesi dallo scoppio della Grande guerra, Widmer riuscì per la prima volta a collegare Trieste a Roma, atterrando l’11 aprile - dopo varie tappe dove veniva accolto al grido di “via Trieste” - a Centocelle, il campo di volo «dove cinque anni prima era avvenuto il primo volo dei fratelli Wright in Italia».

L’impresa del pilota triestino contribuì a consolidarne la leggenda, che proprio Trieste ha finito per dimenticare.

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