E D’Annunzio scrisse alla moglie «Ti prego non divorziamo»

A correggere, almeno in parte, l'immagine vulgata di un Gabriele D'Annunzio donnaiolo impenitente, giunge in libreria un volume contenente le lettere scritte dal Rapagnetta (questo il cognome del...



A correggere, almeno in parte, l'immagine vulgata di un Gabriele D'Annunzio donnaiolo impenitente, giunge in libreria un volume contenente le lettere scritte dal Rapagnetta (questo il cognome del "vate") alla donna che forse ha amato più a lungo e più sinceramente, Maria Hardouin dei duchi di Galles, che aveva sposato quando lui aveva vent'anni e lei diciannove. Per l'ottima cura di Cecilia Gibellini, è uscita con Archinto la raccolta “Gabriele D'Annunzio, La miglior parte della mia anima. Lettere alla moglie, 1883-1893” (pp. 280, euro 20). Il saggio introduttivo della Gibellini è un contributo prezioso per intendere il contesto in cui le missive furono scritte, ricostruendo le vicende cui fanno riferimento e offrendo un racconto avvincente del romanzo d'amore autobiografico: le singole lettere sono come tessere capaci di delineare il mosaico di una vicenda complessa e tormentata. Nel suo insieme, il carteggio tra i due comprende diverse centinaia di messaggi, tra lettere, biglietti e telegrammi lungo più di mezzo secolo. Gibellini ha scelto di soffermarsi, attraverso la scelta dei testi (molti inediti), sui primi dieci anni della relazione. Il primo incontro risale agli inizi del 1883, e da subito la strategia seduttiva del poeta si basa su un abile uso della parola, in dediche e biglietti, con versi e riferimenti letterari per lusingare la giovane. Non senza pose romantiche scopertamente esibite: «Sono stato qui tanto tempo senza poterti scrivere una parola, in una immobilità spaventosa, con un singhiozzo alla gola, scosso da un tremito violento. Mi sento come schiacciato dalla grandezza del mio amore, del nostro amore; mi sento oppresso». Il duca-padre si oppone alla relazione della figlia con il poeta parvenu. Ma una fuga in treno da Roma a Firenze lo costringerà ad acconsentire finalmente alle nozze riparatrici.

Tre anni di armonia coniugale, sono seguiti da un graduale distacco, causato dall'infedeltà di lui ma anche, forse ancor più, dalle gravi difficoltà per gli indebitamenti di D'Annunzio. Negli anni di progressivo allontanamento - nonostante i figli Mario, Gabriellino e Veniero - non mancano eventi drammatici, come quando, il 6 giugno 1890, Maria si getta dalla finestra dell'appartamento romano della coppia, procurandosi gravi lesioni alle gambe. Nel 1904 la donna avvierà le pratiche per il divorzio, che però lo scrittore le chiederà di non proseguire: «Se qualcuno vuole il nostro divorzio, Maria Mistica, ti prego, non accettare, non farlo...». Forse per questo Maria interromperà l'iter. Varie le ragioni di interesse dell’epistolario, che documenta, spiega Gibellini, «il nascere e l'evolversi di quello che fu il rapporto più saldo e duraturo che D'Annunzio intrattenne con una donna da lui amata». Nonostante le molte altre. —

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