Due secoli fa a Trieste nel cuore della Borsa entrava in funzione la Meridiana perfetta
TRIESTE Aria, acqua, terra, fuoco. Trieste è fondata sull’equilibrio di questi quattro elementi. Il metallico D’Annunzio assorto nella lettura in Piazza della Borsa è da poco in panchina, ma dieci anni fa gli orologiai Paolo Alberi Auber e Aurelio Pantanali realizzarono lì accanto uno strumento fissato su un masegno che prolunga idealmente nello spazio aperto la Meridiana situata nell’atrio dell’edificio.
È ecologico, funziona con il sole, e chi facesse una breve sosta durante il ‘liston’ può provare: ponendosi ritto sul mese in corso, inciso sul pavimento, genera l’ombra che, proiettandosi verso l’ellisse esterna, indica l’ora.
Un omaggio alla Linea meridiana a camera oscura ideata esattamente due secoli fa, nel 1820, dall’orologiaio Antonio Sebastianutti originario di Pers, paesino vicino a San Daniele del Friuli.
A Pers nei nostri anni non c’è nulla di notevole da registrare: si è estinto l’oktobiker, raduno di biker con concerti. Ma gli basti a gloria imperitura aver dato i natali a due guardiani del tempo agli antipodi: un grande ma misconosciuto poeta barocco con tanto di castello, e un tecnico geniale. Ossessionato dagli orologi, da sole, da acqua e da polvere, tocca i vertici del pessimismo cosmico con il sonetto “Orologio da rote” che con i denti lacera il giorno, Ciro signore di Pers.
Le sue poesie uscirono postume, postuma la gloria, mentre il pragmatico Sebastianutti a Trieste il tempo lo impiega fattivamente e miete pecunia e allori sulla scia delle fortune cittadine. Contribuirà all’invenzione dell’elica, cambiando la storia della propulsione navale, ma la sua creazione più riconosciuta è la Meridiana.
Attraverso un foro della facciata dell’edificio della Borsa, il sole entra esattamente cinque minuti prima di mezzogiorno e ne esce dieci minuti dopo, permettendo così di sincronizzare i cronometri marini delle navi in partenza da Trieste in modo da rendere possibile il calcolo esatto della longitudine una volta in alto mare, senza altri punti di riferimento.
Sebastianutti è figlio d’arte, proviene da una famiglia di orologiai e sembra avesse fatto il tirocinio a Pesariis, un piccolo borgo della Carnia, che passò dal 1725 alla produzione a livello industriale intrapresa dalla famiglia Solari e destinata a durare fino ai giorni nostri. Trieste, con i neonati Borgo Teresiano e cantiere navale di San Nicolò in piena espansione, ha fiuto nel riconoscere l’abilità. Gli artigiani-orologiai pesarini costruiscono nel 1747 l’orologio della Torre del Mandracchio e nel 1816, quattro anni prima della Meridiana, quello al centro del timpano del Palazzo della Borsa. Di Giacomo Solari la città approva il progetto per l’orologio a due campane, una con la nota di “re” per segnalare le ore e l’altra in “si bemolle” per i quarti.
Carriera non malvagia per una famiglia, la quale leggenda vuole discendesse da un pirata genovese in esilio che mise a frutto le sue conoscenze di meccanica e astronomia.
Dal 1853 al 1873 vengono costruiti dall’atelier anche gli orologi pubblici collocati nelle torri dell’arsenale San Marco, di villa Bottacin e del Municipio di Trieste.
Mentre una teoria ben più solida ipotizza che le rotte commerciali verso Germania e Austria, forti nei settori della meccanica e dell’orologeria, si fosse sviluppata a Pesariis di riporto con i “cramars”. I mercanti vagabondi esportavano in giro per l’Europa spezie e stoffe e importavano segreti e tecnica.
I laboriosi friulani li mettono a frutto nei lunghi inverni grazie alle risorse del territorio, boschi e acque, per lavorare il ferro: compare così nel XVII secolo un tipo di orologio a parete come se ne trovano di simili nella Foresta Nera.
Pensare che l’orologio era uscito dalle mura dei monasteri benedettini già verso la metà del ‘300, concepito da uomini che volevano dedicarsi di più a Dio imprimendo cadenze regolari alla vita improntata a “ora et labora”.
Invece, la strada dell’inferno essendo lastricata di buone intenzioni, inventarono la tecnologia più idonea agli uomini che vogliono accumulare denaro.
Nella Valle del Tempo, verde d’estate e bianca d’inverno, durante la seconda guerra mondiale che rallentava la produzione, fu perfezionato il capitalismo, con il conto delle ore, ma anche il sincrono e il controllo delle azioni umane attraverso un nuovo marchingegno: l’orologio timbratore, il nonno del timbracartellino. Adesso si alzano gli occhi al cielo non tanto per ammirare gli storici orologi vanto del buon gusto di Trieste, ma soprattutto per leggere in stazioni e aeroporti gli orari degli orologi a palette, nati nel Dopoguerra, sempre creazione degli inventivi Solari. —
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