“Due fronti una città”: così viveva Trieste nella Grande guerra

TRIESTE Nel 1914, alla vigilia della Grande guerra, Trieste era una città moderna, multietnica e pluriconfessionale, una specie di piccola New York. Contava 250mila abitanti, era la seconda città dell’Austria, la terza dell’Impero asburgico e il primo porto dell’Adriatico per traffico di merci e passeggeri. L’area urbana brulicava di cantieri che davano lavoro a decine di migliaia di operai, in città la gente parlava il dialetto triestino e lo sloveno, ma per le strade si sentiva anche il croato il serbo e il tedesco. Circa 50mila residenti erano stranieri del vicino Regno d’Italia, “regnicoli” in gran parte friulani e veneti, ma anche molti meridionali che lavoravano e partecipavano con le famiglie alla vita della città.
Allo scoppio del conflitto, e poi con l’entrata in guerra dell’Italia, improvvisamente tutto cambia. Trieste è vicinissima alla prima linea, anzi è la retrovia di una delle zone più sanguinose del fronte, e presto l’economia si ferma, i rifornimenti si fanno sempre più difficili, cessano le autonomie municipali e si instaura un regime militare. I cantieri sono fermi, aumentano la miseria, la fame e il mercato nero. Fino al 1917 gli aerei italiani effettueranno incursioni a più riprese lanciando bombe e uccidendo almeno trecento civili.
La città rapidamente si svuota: 50mila triestini maschi fra i 18 e i 50 anni vengono arruolati nell’esercito imperiale, circa 1500 giovani irredenti scelgono invece di combattere dalla parte dell’Italia. Dei 50mila “regnicoli”, 35mila vengono rimpatriati mentre altri 15mila finiscono nei campi di internamento. Nel 1915 la popolazione si è ridotta a 180mila abitanti, che diventano 160mila l’anno dopo. La città è affamata, divisa, impoverita e incerta. Eppure cinematografi e teatri sono pieni, la voglia di esorcizzare la guerra con la cultura è un modo per aggrapparsi a una possibile normalità. E il dopoguerra non porterà grandi miglioramenti. Commissariata e considerata territorio occupato fino al 1921, anno dell’annessione ufficiale al Regno d’Italia, con la fine dell’Impero asburgico Trieste perderà la funzione di mediazione economica e finanziaria con il suo naturale retroterra, e avrà difficoltà a far ripartire industrie e traffici portuali, ritrovandosi di fatto in posizione periferica nel contesto dell’economia italiana.
È questa la fotografia di Trieste fra il 1914 e il 1921, ed è questa l’immagine che ci restituisce la mostra “14-18 - Due fronti una città” inaugurata ieri pomeriggio dal sindaco di Trieste Roberto Cosolini al Salone degli incanti dell’ex Pescheria. Presentata in mattinata dall’assessore alla Cultura del Comune Paolo Tassinari - che ha ricordato il successo della precedente rassegna sulla “Grande Trieste”, “prequel” di questa -, dalla direttrice Bianca Cuderi, dal curatore scientifico Lucio Fabi e dal responsabile dell’allestimento, l’architetto Dimitri Waltritsch, l’esposizione ha attinto a numerosi musei, archivi e collezioni pubbliche e private per dare forma a un’ampia visione della città in quegli anni terribili. Ed è una visione che solo in tempi recenti - e in particolare in occasione del cent. enario della Grande guerra - ha ripreso tutte le sfumature, i chiaroscuri e i particolari, che gli anni e la storia hanno spesso sacrificato in nome di una lettura a senso unico - per non dire retorica - della storia stessa. Come ha commentato lo scrittore Paolo Rumiz intervenendo alla presentazione, «questa mostra lancia un messaggio importante, visto che fuori da Trieste ancora si pensa che durante la guerra i triestini stessero tutti lì ad aspettare».
Ecco dunque, in un allestimento che «ripropone l’instabilità vissuta dalla città attraverso la modulazione di espositori di forma circolare» - come ha spiegato Waltritsch - pannelli, foto, filmati, documenti, oggetti, parlano di una realtà complessa e difficile da rappresentare, riassunta nei tre percorsi espositivi in cui è suddivisa la mostra: Trieste in guerra, Uomini contro, La guerra quotidiana, La città contesa. Al centro del salone due installazioni giocano sulla metafora: una mappa di Trieste circondata da mille soldatini d’epoca (l’eccezionale collezione di Paolo Luisi) e sormontata da una “nuvola” di lettere e diari dei militari dal fronte, e l’esposizione di un’ampia raccolta di Trench Art - soprammobili, monili e oggetti vari di uso quotidiano costruiti con residuati bellici della collezione Hellmann di Roma - per simboleggiare «il progressivo appiattimento delle società dell’epoca alle ragioni del conflitto».
Una sezione della mostra è dedicata ai volontari irredenti, con immagini e lettere di tre di loro: Roberto Liebmann Modiano, Guido Corsi e il giornalista Mario Nordio. Fra i documenti e gli oggetti esposti spiccano alcuni manifesti originali tra cui l’annuncio “Ai miei popoli” con il quale l’imperatore Francesco Giuseppe diffuse la notizia della dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria. Oppure i voluminosi registri con le liste di leva, sia i coscritti che i disertori (cinquecento casi identificati), ma anche le liste dei triestini dell’esercito asburgico decorati (più di seicento). E poi i manifesti che venivano affissi per le vie cittadine, come l’avviso del magistrato civico per l’arruolamento di cani e cavalli.
Diversi enti, oltre ai civici musei, hanno collaborato alla mostra, dal Teatro Stabile alla Cappella Underground fino alla Cineteca del Friuli e al Filmarchiv dell’Austria. Ed è quest’ultimo che ha messo a disposizione un filmato storico, i quattro minuti con il volo di Goffredo de Banfield sopra Trieste, mentre le foto amatoriali di tre ufficiali triestini e fiumani dell’esercito austro-ungarico (Michele Chiachich, Mario Slavic, Francesco Pepeu) restituiscono «lo sguardo partecipe e insieme disincantato di chi partecipa a una evento epocale».
«Per la prima volta - ha detto il curatore dell’esposizione, Lucio Fabi - si tenta un ragionamento articolato sulle esperienze e sui diversi destini di donne e uomini profondamente segnati dal conflitto». Sono “storie triestine” di un secolo fa viste dai contemporanei, con un’attenzione particolare alle parole: dalle lettere e dai diari, fino alle citazioni tratte da opere letterarie sono le parole che riportano la voce dei protagonisti di quegli anni. Protagonisti soprattutto sconosciuti, o “minori”, le cui vite e i cui ricordi si intrecciano necessariamente con quelli di ciascuno di noi. E a simboleggiare una memoria collettiva lasciata dalle parole, due frasi a caratteri cubitali circondano il perimetro della mostra. La prima - Ieri abbiamo avuto una combattimento e per grazia di Dio sono rimasto illeso - è tratta da una lettera del soldato triestino del 97° Reggimento di fanteria dell’esercito austro-ungarico Antonio Pertot. La seconda - Dopo ben 40 giorni di trincea ritorneremo nel mondo. Qui si crepa al biondo Dio - è presa da una lettera del triestino volontario nell’esercito italiano Roberto Liebmann Modiano. Due fronti una città.
La mostra rimarrà aperta fino al 19 giugno 2016. Orari: da lunedì a giovedì 11-19, venerdì e sabato 11-21, domenica e festivi 10-19. Costo del biglietto: 6 euro, ridotto 4, ingresso gratuito fino a 14 anni. Sono previste forme di agevolazione per la visita congiunta alla mostra e ai Musei Ciuvici. Visite guidate sono previste tutte le domeniche alle 11. Per informazioni 0403226862, www.triesteduefrontiunacitta.it., twitter #trieste2fronti.
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