Dramma proletario in un interno

Di lavoro, di come stia cambiando e quanto sia difficile trovarlo, dei compromessi da accettare per tenerselo, il cinema parla davvero troppo poco, soprattutto in questi anni di crisi. E ancor meno si racconta quello che succede nelle fabbriche e fra le lavoratrici femminili, sempre l'anello debole di una catena già precaria.
Ecco perché il nuovo film di Michele Placido è una storia necessaria, oltre che un pezzo di ottimo cinema da non perdere. La trama è ispirata alla lotta reale (diventata poi un testo teatrale scritto da Stefano Massini) di un gruppo di operaie tessili di Yssingeaux, nell'Alta Loira in Francia, che nel 2012 ingaggiarono un durissimo braccio di ferro con i nuovi dirigenti della fabbrica che chiedevano loro di rinunciare a 7 minuti della loro pausa pranzo.
Nel film la vicenda è trasposta nell'Italia centrale: le protagoniste sono undici operaie del Consiglio di Fabbrica che, dopo l'entrata di un nuovo socio di maggioranza in azienda, sono riunite per votare se accettare o meno la riduzione della pausa.
Tra di loro ci sono Bianca, l'anziana portavoce avvezza alle lotte sindacali (una magistrale Ottavia Piccolo, già protagonista anche del testo teatrale), la dura trentenne Greta (Ambra Angiolini), tutta muscoli e pregiudizi contro gli immigrati, Ornella (Fiorella Mannoia, eccezionale nel suo primo ruolo importante) e la figlia Isabella (Cristiana Capotondi), incinta al nono mese, Marianna (Violante Placido) in sedia a rotelle dopo un incidente sul lavoro in quella stessa fabbrica, Angela (Maria Nazionale) pragmatica madre di quattro figli con marito in cassa integrazione, le immigrate Kidal, Micaela e Hira, ognuna con i suoi drammi personali alle spalle.
Hanno poche ore per votare e decidere del loro destino, sole di fronte a una domanda per niente facile: cosa sono sette minuti al giorno pur di non perdere il lavoro? Sono pochi o tanti, considerato che moltiplicati per trecento operaie, fanno novecento ore di lavoro gratis al mese?
Placido dirige un "dramma proletario" in interni, quelli della fabbrica resi ancora più freddi da un filtro di luce grigia, concentrandosi sulle dinamiche tra le protagoniste, ognuna decisa a salvare lo stipendio ad ogni costo, poi progressivamente anche a riflettere sulle conseguenze più ampie del proprio voto.
Perché la lotta per i diritti sul lavoro, una battaglia "moderna eppure antichissima", come ricorda il film, si fa non retrocedendo sulle piccole battaglie. Le questioni cruciali sono tante: qual è il limite tra i sacrifici da fare al lavoro e la salvaguardia della dignità del lavoratore? È vero che molti dei diritti sono stati persi negli anni anche perché gli operai hanno accettato troppo?
Placido è anche un bravo regista d'azione (come ha dimostrato dirigendo "Il cecchino", "Vallanzasca", "Romanzo criminale") e al montaggio sceglie di gestire una sceneggiatura per sua natura statica, con undici personaggi seduti attorno a un tavolo (Massini ha dichiarato che la sua fonte d'ispirazione è il classico "la parola ai giurati" di Sidney Lumet), come se fosse un thriller con conto alla rovescia.
Il ritmo dunque è sempre incalzante, ma il pregio maggiore nel film sta nel bellissimo testo che il regista affida completamente alle sue interpreti, tutte brave e credibili. In tempi di paura e di crisi i loro dubbi, i loro ripensamenti, sono i nostri, ed è impossibile non vibrare con loro fino alla decisione finale.
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