Dopo duecento anni continua a vivere il mondo fantastico di Emily Brontë

Roberto Bertinetti
“Mia sorella era innamorata della brughiera, la sua mente sapeva trasformare in un Eden la valle più tetra affossata sul fianco livido di una collina. Lontana da Haworth si sarebbe ammalata”. Così Charlotte Brontë riassumeva il carattere di Emily dopo la sua scomparsa avvenuta nel dicembre 1848, appena trentenne. Le donne con aspirazioni letterarie trovavano altissimi ostacoli sul loro cammino nell’Inghilterra vittoriana. Lo prova una lettera di Robert Southey, poeta laureato, inviata all’autrice di “Cime tempestose”, di cui il 30 luglio ricorre il bicentenario della nascita. Affermava l’intellettuale conservatore ben introdotto a corte: “I sogni a occhi aperti ai quali lei sembra abbandonarsi abitualmente sono capaci di fuorviarla. La letteratura non può essere un impegno femminile, non lo dovrebbe essere. Intenta a occuparsi dei doveri del suo stato, non potrà certo dedicarsi allo scrivere, nemmeno come evasione e passatempo. A quei doveri non è stata ancora chiamata, ma quando lo sarà non andrà più alla ricerca di emozioni fantastiche”. Per fortuna Emily, al pari di Charlotte e di Anne, non si lasciò intimidire e le tre ragazze Brontë riuscirono a trovare un editore disponibile a proporre i romanzi di tre sconosciute che risiedevano in una sperduta contea del nord spazzata da venti spesso selvaggi.
Per Anne, Charlotte e, soprattutto, Emily, di cui il 30 luglio ricorre il bicentenario della nascita, l’amore per la letteratura costituiva una vera e propria vocazione, manifestatasi irresistibile sin dall’infanzia. La famiglia lo comprese sin dall’estate del 1826, quando, rientrando da un viaggio a Leeds, il reverendo Brontë portò alcuni regali per le figlie. Che apprezzano soprattutto una scatola di soldatini dai quali Emily, Charlotte e Anne traggono ispirazione per un ciclo letterario che ne mostra le precocissime doti espressive: le bambine iniziano a inventare mondi immaginari narrati in versi e in prosa, trascorrono intere giornate a riempire con la loro grafia minutissima centinaia di pagine.
Subito dopo prende forma “Cime tempestose”, una vicenda sorretta da una fervida immaginazione e intessuta di morte, in cui un amore impossibile trionfa, travolgendo ogni ostacolo anche in termini sociali perché dominato da un desiderio rapace dell’altro nel quale molti critici hanno voluto scorgere un’ansia mistica neppure troppo celata. Il vocabolario usato da Emily per riassumere il legame che unisce Heathcliff a Catherine è semplice, per certi aspetti persino ripetitivo, intriso di parole apprese leggendo i testi sacri con i quali aveva indubbia dimestichezza sin dall’infanzia. La forma ricorrente del rapporto tra i personaggi si esprime attraverso un duplice schema: l’umiliazione e la vendetta. Heathcliff e Catherine bambini condividono spesso le umiliazioni ma nel volgere degli anni coloro che li umiliarono diventano inesorabilmente gli umiliati attraverso la vendetta.
Nel 1847, quando fu pubblicato, il romanzo divise i critici.“E’ un libro rozzo, quasi illeggibile”, sostiene un recensore. Un altro, invece, afferma: “Se il valore di un’opera narrativa deve basarsi soltanto sulla pura e semplice immaginazione, allora si tratta di uno dei più grandi libri scritti in inglese”. Un terzo preferisce una posizione mediana e così lo giudica: “Affascinati da una strana magia, leggiamo qualcosa che pure non ci piace e ci interessiamo a uomini e donne che offendono la nostra morale forse perché dominati dalla grande forza del libro”.
Il periodo successivo è per le Brontë all’insegna di continue tragedie familiari: il 24 settembre 1848 muore Branwell, l’unico maschio di casa, distrutto dall’alcool e dall’oppio e subito dopo i sintomi della tubercolosi si manifestano in Emily, che rifiuta ogni cura. Lo testimonia una lettera di Charlotte spedita a fine novembre a un’amica. “Emily sta malissimo, credo se tu la vedessi avresti l’impressione che non c’è più speranza. Nonostante queste condizioni rifiuta di farsi visitare da un medico e non tollera che vi si faccia cenno”, conclude Charlotte. Il pomeriggio del 19 dicembre Emily, infine, muore, appena trentenne. Il suo cupissimo e sfolgorante genio le garantisce da due secoli una fama planetaria grazie un unico romanzo nel quale ha riversato le sue inconfessate angosce private, gemma purissima di un’estetica romantica già intrisa di pessimismo decadente.
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