Donata Levi, una docente triestina chiamata nel gotha dei Beni culturali

Liceo Petrarca, Normale di Pisa, insegna all’Università di Udine: «Il Carciotti? Non posso immaginarlo trasformato in hotel»

TRIESTE Il cartellino del prezzo non si può applicare a tutto. Ci sono certi beni morali e civili che i mercati non onorano e che i soldi non possono comprare. Sulle ceneri fumanti della cattedrale di Notre Dame, il presidente Macron ha proclamato: «È la nostra storia, la nostra letteratura, il nostro immaginario: la ricostruiremo».

Se Notre Dame è considerata il cuore della Francia, dove pulsa quello dell'Italia, che detiene un incalcolabile patrimonio artistico, anch'esso minato da vetustà e dissennatezza umana?

La triestina Donata Levi, docente di Museologia e critica artistica e del restauro dell'Università di Udine, è appena stata investita di un delicato ruolo dal ministro Alberto Bonisoli che l'ha nominata membro, con altri otto specialisti, del ricostituito Consiglio superiore dei Beni Culturali e paesaggistici.

Professoressa Levi, li vede lei gli italiani in lacrime, come i francesi, per la distruzione di una nostra cattedrale o opera d'arte?

«Certamente. Io mi occupo specificatamente di storia della tutela del patrimonio artistico e sono testimone che il Friuli Venezia Giulia è sensibilissimo in proposito. Giuliani e friulani coltivano con orgoglioso amore i loro borghi, non importa quanto piccoli. Si sono formate reti spontanee che gratuitamente accolgono i turisti, condividono e spiegano loro usi e tradizioni. È un modo per rigenerarli dall'appiattimento dei gusti standardizzati».

Cosa che fece per le tradizioni orali Calvino compiendo negli anni 50 un viaggio tra le fiabe italiane, per poi riscriverle.

«Esattamente, con preveggenza volle sottrarre all'oblio una parte del folklore e si trovò dinnanzi una mole di materiale variegato, vista la conformazione dell'Italia, non certo inferiore ai nostri reperti artistici».

Tant'è che l'Unesco, non solo tutela i siti rilevanti culturalmente o dal punto di vista paesaggistico, ma anche, ad esempio, beni immateriali, o specificità culinarie locali.

«È vero, ma a mio parere bisognerebbe ritrovare il senso delle proprozioni. Con tutto il rispetto, mi pare bizzarro mettere il pesto genovese o la pizza alla pari con il Colosseo o Venezia. Tutelando tutto si finisce con non tutelare più nulla».

Ecco il punto: valorizzare e tutelare il nostro paesaggio e patrimonio storico e artistico. Si fa abbastanza?

«Il problema cruciale è costituito dall'interpretazione che viene data alla parola "patrimonio" accanto a "artistico", oscurando troppo spesso la seconda. Il patrimonio difeso dall'articolo 9 della Costituzione è una rendita non economica, ma intellettuale, è un valore immateriale. Cioè produce cultura, ricerca, è un costo gravoso sì, ma che viene ripagato dalla crescita morale e civile della nazione ed è orientata al futuro».

E il comune cittadino cosa può fare?

«Partecipare, vigilare sui raccordi tra tutela dei paesaggi e leggi urbanistiche. Nel 2002 abbiamo dato vita al sito www.patimoniosos.it, nato per iniziativa dei cittadini preoccupati per il destino dei beni culturali in qualche modo in pericolo del nostro Paese. Un riferimento aggiornato, accessibile e utile, una piattaforma di dialogo tra esperti e opinione pubblica. Tutto su base volontaria».

A proposito di volontariato, qual è la sua opinione riguardo la prestazione d'opera di ciceroni tra gli studenti, di guardasale e bigliettai tra i pensionati e via elencando?

«Tutta generosità del nostro popolo. Purtroppo l'Italia si regge sul volontariato, sopperendo alle lacune, alle strutturali mancanze di fondi in troppi settori. Ma è insensato lasciar avvizzire preparazione, entusiasmo e intelligenza di un esercito tra diplomati e laureati. Da parte del Ministero c'è la volontà di un riordino in questo senso con nuove assunzioni. Un conto è la sussidiarietà, un altro il costante ricorso al volontariato che aggrava la già critica situazione occupazionale».

Anche Trieste deve affrontare un annoso problema economico e non solo, con il neoclassico palazzo Carciotti rimesso all'asta con lo sconto.

«Lo si può assumere a paradigma di ciò che angustia l'Italia. Un edificio troppo oneroso per essere eletto, figuriamoci, a dimora privata ma anche per le esangui capacità d'investimento delle amministrazioni comunali, adibendolo a luogo pubblico: biblioteca, archivio, ufficio di rappresentanza? Ma non posso neanche immaginarlo convertito in hotel per turismo d'élite. Qui apriremmo un altro capitolo. La ricchezza artistica del Paese, per paradosso, talvolta ha costi insostenibili».


 

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