Dodici attori a scuola di teatro sono “Gli indocili” di Ana Shametaj

Dodici attori, tutti debuttanti, scelti in anni di ricerca dallo storico Teatro Valdoca per una scuola sui generis che ridefinisce i contorni del teatro, della poesia e della performance. Sono “Gli indocili” raccontati nell’omonimo documentario di Ana Shametaj, ventisettenne regista triestina di origine albanese, che sarà presentato in anteprima italiana al prossimo Trieste Film Festival (18-25 gennaio) nella sezione Premio Corso Salani. Al film hanno lavorato anche altri tre triestini: Anselmo Luisi alle musiche, Otto Reuschel come fonico e assistente alla regia, e l’attore Pietro Ramella.
Ana è arrivata a Trieste da Durazzo insieme alla famiglia quando aveva solo un anno, poi a 19 anni si è trasferita a Milano per diplomarsi in regia alla prestigiosa Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi e ha fondato la compagnia Kokoschka Revival: «Nella compagnia - racconta - c’erano diversi triestini, abbiamo una forte fascinazione per l’espressionismo tedesco. Ma abbiamo scelto il nome soprattutto per come suona, e perché l’arte è sempre un revival di qualcosa». La passione per il teatro nasce in città («mi ha sempre affascinato l’esperienza di Claudio Misculin e dell’Accademia della Follia», dice), ma soprattutto in famiglia: «Mia madre e mio padre durante il comunismo albanese erano artisti, ma sono dovuti emigrare e non hanno potuto continuare la carriera. A Milano ho visto poi gli autori e gli spettacoli per me più sconvolgenti, che mi hanno indirizzata verso il teatro di ricerca, come quelli della Socìetas Raffaello Sanzio e del Teatro Valdoca». Ana si è concentrata sulla documentazione della performance, «un terreno difficilissimo: il teatro di per sé al cinema non funziona. Bisogna lavorare sul linguaggio, su come farlo diventare un’altra cosa». Ed è quello che accade in “Gli indocili”, dove Ana ha seguito i dodici ragazzi scelti dai fondatori del Teatro Valdoca, il regista Cesare Ronconi e la poetessa e drammaturga Mariangela Gualtieri, nel loro training di tre mesi, in una foresteria a Mondaino, in mezzo ai boschi delle alte colline romagnole, convivendo e lavorando allo spettacolo “Giuramenti”. Il film racconta le prove, sia in teatro che soprattutto nei boschi, la vita dei ragazzi e i rapporti tra di loro, e le notti nelle quali Gualtieri scriveva versi differenti per ciascuno di loro. «L’idea centrale della “scuola” è riappropriarsi di un temperamento più curioso, indocile e collettivo rispetto alla vita: completamente in controtendenza in questi tempi che portano verso l’individualismo, l’isolazionismo, la crisi della cultura», dice la regista. «È significativo il titolo di una serie di versi della poetessa, “Il seme della tempesta”, che recita: “Questo chiedo: avere in me/il seme della tempesta. Spazzare via/la calma apparente della generazione mia/destare la rivolta./Una rivolta chiedo, differente/da tutte le rivolte della storia”. Parole logore come “rivolta” prendono un’accezione più vera nella forza collettiva: il teatro e la poesia diventano così un atto di resistenza e di bellezza».
Il film è montato e prodotto da Jacopo Quadri, il montatore di tanti film di Mario Martone, Bernardo Bertolucci, Paolo Virzì. «Abbiamo trovato insieme una struttura narrativa più o meno canonica, perché di cose, in quei tre mesi, ne sono accadute tante. La cosa più interessante, però, è la struttura emozionale del film, che vede la poesia nel suo crescere». —
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