Disavventure e sogni di una maestra precaria che aspetta una chiamata
TRIESTE Storia, vita e amori di una maestra precaria nell’Italia di oggi dove il precariato spesso non è una fase transitoria bensì permanente, tanto da diventare quasi uno status “esistenziale” in cui tutto, non solo il lavoro, viene vissuto in modo discontinuo e frammentario, senza programmi per il futuro. “Sperando che il mondo mi chiami”, il romanzo d’esordio di Mariafrancesca Venturo (Longanesi, pagg. 405, euro 16,90) racconta la storia di una maestra precaria che con ironia, profondità e passione al tempo stesso affronta la scuola, le sue tante burocrazie ma soprattutto il quotidiano sempre sorprendente rapporto con i bambini delle scuole elementari. Scritto da una maestra che la condizione del precariato l’ha provata veramente sulla sua pelle, il libro, da poco uscito, è stato presentato alla giornata d’apertura del 36° Seminario di Perfezionamento della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri alla Fondazione Giorgio Cini di Venezia (in corso fino a venerdì).
«Attendo il mio contratto a tempo indeterminato, attendo in caduta libera che il lavoro combaci con la vita che vorrei, che dovrei avere, amare, possedere così come è successo per i miei genitori, i miei nonni e le mie nonne» racconta Carolina, l’eterna supplente protagonista del libro.
Insegnante, figlia di insegnanti, Mariafrancesca Venturo in questo romanzo garbato e ironico racconta un universo scolastico in perenne movimento tra pendolarismo e burocrazie, concorsi e punteggi, speranze e disillusioni. «Ho preso spunto dalla realtà che ho vissuto nella scuola – spiega - anche se i personaggi e le vicende che narro sono di fantasia. Carolina, la mia protagonista, fa il mestiere più bello del mondo, ma è ancora, e non sa per quanto, una maestra supplente, costretta a vivere alla giornata senza poter mai coniugare i verbi al futuro, né per sé, né per i suoi allievi. La scuola – continua – quella di 50-60 anni fa, quella che mi raccontava mia nonna, personaggio che tratteggio nel mio romanzo, è profondamente cambiata. Quella scuola che nel dopoguerra doveva alfabetizzare l’Italia, in cui insegnare voleva dire istruire, ora non c’è più. La scuola oggi ha un compito molto più legato all’educazione e alla convivenza. Tuttavia il suo valore portante è rimasto uguale. Io sono una maestra montessoriana e il messaggio che diceva Maria Montessori è ancora estremamente attuale: la scuola deve aiutare a scoprire i talenti dei bambini, far capire loro come spenderli nel mondo. Al di là del precariato, delle mille riforme della scuola, delle tante, troppe burocrazie, credo che questi valori non siano mai tramontati. Chi lavora a scuola e in particolare chi è a contatto con i bambini delle elementari sa molto bene che quello che conta è qualcosa di molto più profondo di tutto ciò, per questo sarebbe bene che prima di fare una riforma un ministro venisse a conoscere da vicino cos’è davvero la scuola».
Tra i tanti personaggi che popolano il romanzo ecco allora insegnanti e segretarie, presidi e supplenti che disegnano una scuola ancora viva e vitale, nonostante le mille disillusioni, gli stipendi quasi ridicoli (in Italia un quarto rispetto alla Svizzera) e la necessità di una formazione continua che il nostro sistema fatica ad offrire. «Quello che in realtà non mi piace entri nella scuola – spiega la scrittrice – è il fattore della competitività, che trasforma le aule in palestre che preparano alla sfida del mondo del lavoro. Così facendo si alimentano frustrazioni e reazioni da parte dei genitori di fronte a possibili insuccessi dei loro figli. Ne deriva una super-occupazione del tempo dei bambini a tutte le ore del giorno, che sono sottoposti fin da piccoli a mille attività: si pretende da loro molto di più rispetto al passato, li si vuole sempre più autonomi, ma in realtà in questo super-attivismo li si lascia emotivamente più soli. È qui che la scuola deve tornare ad essere il luogo fondamentale per aiutarli e farli crescere». —
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