Dietro velo e hijab le donne cominciano a diventare visibili

di ARIANNA BORIA
Leggero, semplice, sottile. Eppure, nel corso dei secoli, attraverso popoli, civiltà, fedi diverse, sempre gravato da significati simbolici. Anche in quest’estate 2016, dentro il suo piccolo perimetro, si sono consumati scontri e polemiche. Perchè il velo non è mai stato un accessorio “neutro”. Ha sempre definito l’identità personale, sociale, religiosa delle donne. Ha nascosto, protetto, custodito il capo, il volto, a volte anche il busto femminile, ma al tempo stesso ha adornato, lusingato, richiamato l’occhio maschile. È stato imposto da leggi e tradizioni e ha finito per esaltare la bellezza, assecondare la seduzione.
Velo e Islam è oggi un’equivalenza immediata. Il velo, al contrario, appartiene in pieno al mondo occidentale. Ce lo racconta Maria Giuseppina Muzzarelli, docente di Storia medievale, Storia delle città e Storia del costume e della moda all’Università di Bologna, in “A capo coperto. Storie di donne e di veli” (Il Mulino, pagg. 214, euro 16,00), un viaggio affascinante e documentatissimo che, pur concentrandosi in particolare sull’età tardomedievale e sulla prima età moderna, è ricco di “travalicamenti”, dal mondo greco e romano ai giorni nostri, dalle prescrizioni dei Padri della Chiesa alle pubblicità di Dolce & Gabbana, «per capire meglio - dice l’autrice - i fenomeni dell’oggi attraverso gli elementi di permanenza o di mancata continuità».
Professoressa Muzzarelli, il suo saggio esce in un’estate in cui burkini e velo fanno discutere ...
«In realtà non mi aspettavo tanto parlare della copertura del corpo a causa del burkini. Il burkini mi pare possa essere considerato una ricerca di partecipazione alla vita sociale, un compromesso tra identità, volontà di seguire le indicazioni religiose e partecipazione alla vita sociale. E, in questo senso, si lega con i temi che affronto nel libro. Anche in Occidente, nel Basso Medioevo, esisteva la prescrizione del velo, ma le donne cercavano di renderla compatibile con la volontà di apparire comunque belle e aggraziate. Possiamo definirla una sorta di resilienza femminile. Intorno al XIII secolo il cardinal Latino prescriveva alle donne il taglio della “coda”, ovvero lo strascico, e il velo in testa. Il frate Salimbene da Parma ci testimonia nella sua “Cronica” che questa imposizione fu presa male e che le donne iniziarono a utilizzare veli preziosi, in bisso, di seta, intessuti di fili d’oro, convertendo l’obbligo al velo per modestia in un’occasione di sfoggio di raffinatezza».
Burkini e velo in qualche modo simboli di emancipazione femminile?
«Il burkini è stato inventato da una donna, che ne ha fatto un affare. Pensiamo a come il mondo musulmano sia contro le immagini e a come un costume nato per nascondere, in realtà dia visibilità. Lo stesso hijab, che oggi è anche oggetto di campagne pubblicitarie e di cui si parla in moltissimi blog, è la dimostrazione di come l’Islam si sia convertito alle immagini e abbia convertito il velo in immagine. Qualcosa di analogo è successo ai copricapi del mondo occidentale. Nel XIII e XIV secolo, i veli sempre più ricchi e raffinati hanno messo in luce le cuffiaie che li producevano e commerciavano, dando luogo a un protagonismo delle donne sul piano sociale ed economico. È uno dei paradossi del velo: copre eppure fa vedere, è segno di modestia ma elemento di attrazione, deve nascondere ma rende le donne più belle e visibili».
Lei smonta molti luoghi comuni. Primo: il velo non si identifica con il mondo musulmano...
«Infatti, appartiene a tutta la tradizione mediterranea. Il velo si porta nel mondo precristiano greco e romano. Indica una “soglia”: la donna nubile e quella sposata, la donna religiosa e quella che non lo è. Nel mondo cristiano si aggiunge un elemento: il velo è simbolo di modestia e sudditanza come afferma San Paolo. Tertulliano, apologeta cristiano, dice che tutte le donne lo devono indossare. E nella vita quotidiana le donne andavano a capo coperto».
Oggi, invece, il velo connota subito la fede islamica.
«Le generazioni più giovani non lo sanno, ma fino agli anni ’50 molte donne uscendo di casa si coprivano il capo con un cappellino o con un fazzoletto. Per le vedove il velo nero poteva essere d’obbligo per tutta la vita. Ancora negli anni ’60, il foulard era usato come accessorio di tendenza, imitando Grace Kelly e Jackie Kennedy. È un errore anche pensare che l’abbia cancellato il femminismo, in realtà è solo passato di moda. Perchè il velo ha tanto a che fare con la moda, sia nel Medioevo che in epoca recente. Nel 2015 H&M ha realizzato la prima pubblicità con una modella con lo hijab: il mondo musulmano, che è il 23% della popolazione mondiale, rappresenta un enorme bacino commerciale. È questo che ho voluto raccontare: il velo come appartenente a due mondi e il lavorìo delle donne per fare un accessorio a loro gradito».
Lei ci racconta come il velo possa anche “liberare”...
«In Iran, dopo lo Scià, le donne rimettono il velo ma per alcune si apre anche la possibilità di andare all’Università. Non è il velo che segna il grado di civiltà e libertà di una società. Nel caso del burkini si tratta di una mediazione che tiene insieme esigenze di ordine diverso e in questo senso penso sia accettabile. Al contrario, è una contraddizione vietare qualcosa in nome della libertà. Il velo, poi, in Occidente è caduto sì nell’800, ma la trasformazione era iniziata nel XIII secolo, quando a questo oggetto si è data una connotazione di particolare bellezza e di affermazione economica femminile».
Anche in passato si poneva il problema dell’identità delle donne velate?
«Certo. Nel Medioevo esistevano coperture pressochè integrali del capo della donna. Giovanni da Capestrano, tra il ’300 e il ’400, la raccomandava a sposate e no, per modestia e sottomissione, e il volto doveva appena scorgersi. Diverso l’atteggiamento delle autorità civili che non contrastavano certo il velo ma esigevano la riconoscibilità. Come recita una norma senese del 1343 le fattezze del volto devono essere visibili».
Lei ha citato il velo simbolo di sottomissione...
«Sì, esiste questa componente, legata all’onore dell’uomo. Il corpo femminile è un pericolo, qualcosa da nascondere, da custodire. E anche qui c’è una contraddizione: la donna si copre perchè l’uomo è preda del desiderio. Eva tenta e Adamo, l’asinazzo, come ci dice Bernardino da Siena, cade nella botola aperta della tentazione. Nel Medioevo far cadere il copricapo di una donna era un gesto che disonorava l’uomo a cui apparteneva, quindi il relativo reato era sanzionato con una multa molto alta, pari a un quarto rispetto a quella per violenza sessuale».
Com’è cambiato il velo delle suore?
«In qualche modo l’idea ha un nesso con il burkini. Le religiose, come le donne musulmane, devono muoversi, fare una vita pratica. Il velo delle suore rimane come indicatore di una “soglia”, ma deve essere compatibile con la vita di relazione. Negli anni ’60 le Sorelle Fontana hanno disegnato per le religiose abiti coerenti con l’appartenenza a un mondo “a parte”, ma in grado di garantire loro una vita attiva. Il capo era coperto con un velo di seta nera leggera, bordata di piquet bianco, a forma di turbante rivoltato dietro su se stesso, in modo da lasciare libere le spalle».
Al di là dei significati simbolici, il velo è anche un accessorio di moda in sè...
«Nella pubblicità di H&M, Mariah Idrissi è una ragazza bella, truccata, molto vicina alle sue coetanee senza il velo. Per me è stato un elemento chiarificatore. Il velo può essere un elemento di dialogo, l’importante è non esaurire il discorso in un’unica rappresentazione. Nel mondo musulmano ci sono donne giovani e meno giovani, diversi gradi di copertura, diverse condizioni sociali ed economiche, diverse limitazioni della libertà. E non pensiamo che persino il velo totale sia estraneo alla nostra tradizione occidentale. Nel ’500 Cesare Vecellio, cugino di Tiziano, rappresenta donne di Venezia e Ferrara coperte anche davanti. Si trattava di veli leggeri, decorati, e le donne abilmente li allontanavano e li avvicinavano al volto, in un gioco di seduzione più che di modestia. In questo accessorio c’è un mondo di significati da decodificare e interpretare. Diciamo che nel libro ho cercato di far “cadere il velo” da una certa semplificazione».
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