Dietro il Milite Ignoto la storia tutta giuliana di Antonio Bergamas

Al Teatro Verdi di Trieste e in diretta streaming Sergio Luzzatto metterà a fuoco quello che è stato un simbolo del conflitto mondiale

Quello del Milite Ignoto non è solo un simbolo. Un’icona sulla quale Benito Mussolini costruì vent’anni dell’immaginario e della retorica fascista. E non è nemmeno la figura più rappresentativa, benché anonima, appunto, di tutta la propaganda eroicistica costruita attorno alla spaventosa carneficina che è stata la Grande guerra. Fin troppo presente del nostro tempo, che deve fare i conti con il centenario dell’ingombrante evento.

No, quella del Milite Ignoto è, soprattutto, una storia. Tutta da raccontare, tutta da esplorare. Ed è proprio come fosse un frammento narrativo dell’evento epocale che è stata la Prima guerra mondiale che lo affronterà uno dei più preparati storici italiani: Sergio Luzzatto. Sarà ospite domenica alle 11 al Teatro Verdi di Trieste dell'ottava e penultima lezione di Storia della seguitissima rassegna “Guerra 1914-18” (che potrà essere seguita anche in diretta streaming sul sito www.ilpiccolo.it).

A concludere il ciclo di incontri, organizzati dagli Editori Laterza con il Comune di Trieste, “Il Piccolo”, AcegasApsAmga, Fondazione CRTrieste e Generali, sarà il giornalista e scrittore Paolo Rumiz, domenica 26 aprile, con “Viaggio sul fronte degli altri”.

“Il Milite Ignoto, figlio d’Italia” è il titolo della lezione di Sergiu Luzzatto. Docente di Storia moderna all’Università di Torino, ha analizzato in saggi memorabili alcuni dei temi, dei momenti storici e dei personaggi più amati-odiati, controversi, discussi d’Italia: “Il corpo del duce”, “Padre Pio, “La mummia della repubblica”, “Il crocifisso di Stato”.

«La tumulazione del Milite Ignoto, nel novembre 1921, è stata probabilmente la più importante cerimonia nazionale nella storia dell’Italia unita - spiega Sergio Luzzatto -. Fu una cerimonia ferroviaria. Le spoglie anonime di un soldato caduto e rimasto privo di riconoscimento, uno su circa duecentomila, viaggiarono in treno dalla basilica di Aquileia fino a Roma, tra due immense ali di folla raccolte lungo i binari, e trovarono ricovero nella capitale fra i marmi lucenti dell’Altare della Patria. Allo sguardo di tutti gli italiani, quelle spoglie divennero, allora, il simbolo stesso della Grande guerra: un emblema evidente quanto dolente della vittoria, della memoria, del lutto. Intorno alla tomba del Milite Ignoto Benito Mussolini avrebbe costruito, durante il Ventennio, un intero versante dell’immaginario fascista. E ancora oggi l’omaggio al Milite Ignoto costituisce il clou di ogni cerimoniale della Repubblica».

Ma la cerimonia per il Milite Ignoto non è satata soltanto italiana e romana. «È stata, a ben guardare, una cerimonia giuliana. Fece centro su Gorizia e su Aquileia, ed ebbe per protagonista una donna di Gradisca d’Isonzo che si chiamava Maria Bergamas. Toccò a lei, una madre fra duecentomila – sottolinea lo storico - scegliere quale salma fra undici (appositamente raccolte sui principali teatri di guerra) dovesse rappresentare tutte le altre».

La salma da lei prescelta, evidentemente, non era quella di suo figlio. Non era quella di Antonio Bergamas, caduto venticinquenne sull’altopiano di Asiago. Non poteva esserlo, e non doveva esserlo. «Il significato stesso della cerimonia consisteva, i. nfatti, nell’anonimato - afferma Luzzatto -. Per rappresentare tutti i caduti, il Milite doveva restare Ignoto. E per incarnare tutte le Addolorate, Maria doveva cancellarsi come madre».

Eppure, quella del Milite Ignoto non dev’esseree raccontata necessariamente come una storia di anonimato simbolico. «È una storia che si presta a essere narrata piuttosto -sotttolinea lo studioso - come quella di un “milite noto”. Se appena appena ci si chiede chi era Antonio Bergamas, alcune certezze le possiamo trovare. Era un giovane maestro elementare di Trieste. Era un militante mazziniano, ed era anche una specie di futurista. Era un volontario del Maggio radioso, ma era un volontario particolare, perché disertore dall’esercito austro-ungarico».

Lui era un caso un po’ a parte nello sfaccettato scenario dell’interventismo, dell’irredentismo, della volontà di partecipare alla Grande guerra con la divisa dell’esercito italiano addosso. «Bergamas non condiviveva soltanto la condizione, particolarmente arrischiata, dei volontari trentini, giuliani e istriani, alla Cesare Battisti o alla Nazario Sauro. Condivideva anche l’intrinseca tragicità di una vocazione già segnata, potremmo dire, dal senno del poi. Ammaestrati dai primi mesi della Grande guerra, dalla carneficina dei loro stessi fratelli o cugini o compagni di scuola mobilitati nell’esercito austro-ungarico, i volontari irredenti sapevano che cosa li aspettava: non si nascondevano che sarebbe stata una carneficina. Ne fa testimonianza una magnifica lettera di Antonio (“Tonin”) alla madre Maria: dove il figlio già si rivolge alla mamma come a una Mater Dolorosa».

Ma chi ricorda oggi questo uomo, questo soldato? «Il nome di Antonio Bergamas è ormai dimenticato dagli italiani. Rivive appena in Venezia Giulia, nel nome di qualche via o qualche piazza o qualche scuola, tra Gradisca e Trieste. Ma quando si prendano in mano i documenti che restano di Bergamas (e gli oggetti: la mantella grigioverde, la cinghia di sciabola, la spiritiera da campo...) al Civico Museo del Risorgimento di Trieste, è un po’ tutta la storia dell’irredentismo nella Grande guerra che ritorna a parlare».

Raccontano una storia precisa, dice Luzzatto: «Il viaggio a Roma, l’apprendistato militare a Venezia, l’impazienza delle manifestazioni interventiste, il battesimo della battaglia sul monte Podgora, la vita di trincea al Monte Sei Busi. E, poi, la vita privata, le timide lettere a una fidanzata non dichiarata... fino alla morte sul Monte Cimone, nel giugno 1918».

Nato nel 1891, Bergamas apparteneva alla generazione per eccellenza del volontariato irredentista. «Suoi compagni d’infanzia erano stati lol scrittore Giani Stuparich e il poeta Giulio Camber Barni, mentre Enrico Elia e Scipio Slataper furono suoi compagni d’armi».

Per questo, conclude Luzzatto, «la vicenda di Antonio Bergamas merita di essere riscoperta come rappresentativa di un destino condiviso non soltanto nella morte, ma anche nella vita».

alemezlo

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