Dermot Bolger : «Racconto i “ragazzi di vita” di Dublino»

Lo scrittore irlandese stasera terrà un reading al Caffè San Marco
Di Elisabetta D’erma

di Elisabetta D’Erma

Ospite d’onore della 18° edizione della Trieste Joyce School è quest’anno lo scrittore, poeta, drammaturgo ed editore irlandese Dermot Bolger, che terrà un reading stasera alle 20 al Caffé San Marco nell'ambito degli incontri della Scuola aperti al pubblico. Dermot Bolger (qui a fianco ritratto da Andrea Lasorte), nasce a Dublino nel 1959, nel quartiere operaio di Finglas, sobborgo esemplare del degrado urbanistico in cui ambienta le sue storie. Bolger è stato tra i primi scrittori irlandesi a descrivere quel nuovo paesaggio urbano senza passato, fatto di sopraelevate, passaggi pedonali e quartieri dormitorio nati dalla speculazione edilizia favorita da politici avidi e corrotti. In quei “non-luoghi” della modernità, Bolger intraprende un sofferto viaggio alla ricerca di tracce di significato e di identità. È premiato autore di dieci romanzi, quindici testi teatrali e raccolte di poesie, ha diretto case editrici e curato importanti antologie di narratori irlandesi contemporanei. Due dei romanzi di Dermot Bolger, “Verso casa” e “Figli del passato” sono stati pubblicati in Italia dalla casa editrice Fazi, mentre Baldini & Castoldi ha pubblicato la raccolta di racconti “Finbar's Hotel”. Con raro equilibrio Bolger combina nella sua scrittura immagini liriche e brutale realismo. I suoi protagonisti sono esseri cancellati dalla storia, inghiottiti dalle periferie metropolitane. La sua missione è di preservare la memoria di queste vite perdute, e di restituirci le loro speranze ed i loro sogni.

Nei suoi libri lei ha descritto i grandi cambiamenti che hanno segnato l'Irlanda in quest'ultimo trentennio. Un paese che ha visto la piaga della droga negli anni 80', l'illusione del boom economico degli anni 90' e infine la delusione del crash finanziario. I suoi primi romanzi però, come “Verso casa”, restano ancora d'inquietante attualità. Perché?

«Ho sempre cercato - risponde Bolger - di descrivere la Dublino in cui ho vissuto ed in cui ho finito per identificarmi. La mia visione della città è stata influenzata da autori come Pier Paolo Pasolini, in particolare dai suoi romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”. Quei libri, nonostante fossero ambientati in una cultura diversa, rappresentavano margini di un territorio urbano, folli vite di outsider, e vi ritrovavo le storie della mia classe operaia di Dublino. Così le poesie e i racconti di Pasolini divennero la mia Bibbia. “Verso casa” è uno strano libro. Resto sempre sorpreso quando ragazzi ventenni mi confessano che è il loro libro preferito. È un romanzo in cui puoi ritrovare lo spirito inquieto dell’Irlanda. Penso che l’anima di un paese cambi più lentamente rispetto alle trasformazioni politiche o al suo aspetto esteriore».

Molti suoi romanzi sono ambientati in quartieri della periferia di Dublino. Quelli di più recente costruzione sono oggi abbandonati e noti come “quartieri fantasma”. Lei ne aveva già previsto la trasformazione, lasciandoli abitare da tanti fantasmi...

«In una delle “Lettere luterane”, Pier Paolo Pasolini parla del concetto di “palazzo”, ovvero di quello spazio mentale “dorato” dove vivono i letterati di . ogni società e che non permette loro di vedere cosa accade oltre la sua soglia. Ho vissuto e ho lavorato a lungo in quei quartieri dormitorio, in luoghi dimenticati da Dio e dagli uomini oggetto d’una selvaggia speculazione edilizia. Conosco aree della periferia di Dublino o di altre città irlandesi dove gli abitanti sono costretti a vivere in posti senza infrastrutture o servizi, senz’anima. Il rovinoso flop della bolla immobiliare non mi ha sorpreso, né il suo legato di quartieri “fantasma”. Ci sono però anche altri fantasmi, che popolano i miei racconti, poesie e piéce teatrali. Infatti i morti mi interessano quanto i vivi. In romanzi come “A woman's daughter” o nel recente “New Town Soul”, ad esempio, ho descritto un continuum di esistenze che vi hanno vissuto nel passato e come queste siano interconnesse con quelle dei viventi».

Dopo quello delle Maddalene, il dramma degli abusi torna alla ribalta con la scoperta vicino a Galway di una fossa comune dove sarebbero stati nascosti i resti di 800 bambini. Nel suo romanzo “A second life” lei affronta questo spinoso tema. Come venire a patti con una tale eredità?

«Ogni società ha delle eredità con cui deve fare i conti. La prima reazione è una sorta di amnesia collettiva, come accade - per fare un esempio banale - oggi durante i Mondiali di calcio, dove gli uruguayani sostengono che Luis Suarez non ha morso il calciatore italiano. La generazione di mio padre aveva la capacità di evitare di rispondere a domande difficili. La reazione dei media oggi è quella di trovare un capro espiatorio, così s’identifica il male nelle suore, nei preti. Ma mi chiedo: perché abbiamo lasciato che certe cose accadessero? Perché abbiamo abdicato la responsabilità verso le giovani donne che ritenevamo dovevano essere emarginate solo perché ci facevano sentire a disagio? Questo sistema ha permesso la sparizione da nuclei familiari di componenti femminili scomode, sorelle nubili, figlie irrequiete, ragazze madri... Attorno ai Magdalenes Laundries girava inoltre un'intera economia, lì venivano lavati, stirati e inamidati i corredi e la biancheria delle famiglie borghesi».

E lei nel suo romanzo...

«Nel mio romanzo “A second life” ho tentato di evitare un approccio troppo semplicistico, penso infatti che anche quelle suore erano prigioniere di un sistema. È un dato di fatto che in quelle istituzioni finivano le donne provenienti dalle classi sociali più povere, non certo le ragazze della buona borghesia. La verità è che non si può parlare d’una scoperta. Anche se quei conventi erano circondati da alte mura di cinta, tutti sapevano cosa avveniva al loro interno. Era un sistema che faceva comodo alla chiesa, allo stato e all'intera società».

Lei ha scritto un adattamento teatrale dell'Ulisse, qual è il suo rapporto con James Joyce?

«Lessi per la prima volta l'”Ulisse” a 15 anni, sperando di avere per le mani un libro “piccante”, e ne rimasi molto deluso. Posso comunque dire che sono cresciuto all'ombra di Joyce, perché una delle tante case in cui visse a Dublino era proprio di fronte alla mia a Drumcondra...».

Il “Good Country Index” ha eletto l'Irlanda miglior paese del mondo. È vero?

«Sì, ma con una eccezione, ovvero il periodo che va dagli ultimi giorni di giugno alla prima settimana di luglio... infatti in quei giorni il miglior paese al mondo dove vivere è Trieste!».

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