Dentro “L’impero delle luci” lo spaesamento di Magritte

Un’opera d’arte da approfondire e da riscoprire in un weekend. Cominciamo questa rubrica con “L’impero delle luci” di Magritte, alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia.





“La mente ama ciò che è sconosciuto. Ama le immagini il cui significato è sconosciuto, poiché il significato della mente stessa è sconosciuto” queste parole scritte dal grande artista belga René Magritte aprono lo scenario fantastico del suo creare. Famoso per i dipinti dell’uomo con bombetta, Magritte scelse una vita ritirata e schiva alla quale solo pochi eletti potevano partecipare. Il critico d’arte Enrico Crispolt rivelò, in un’intervista di qualche anno fa, che i surrealisti belgi erano un circolo molto chiuso, infatti quando si recò a Bruxelles per incontrare Magritte, a cui stava organizzando una mostra a L’Aquila, dovette superare una sorta di piccolo e divertente esame e solo successivamente fu introdotto al cospetto di René.

Magritte rifiutava il titolo di artista affermando di essere un uomo che “pensava”, la pittura era il suo canale di comunicazione con il mondo. Amava sovvertire l’ordine naturale delle cose: un esempio concreto ne è l’opera “L’Empire des lumières” (L’impero delle luci) del 1954.

Lo spaesamento era ciò a cui aspirava per innescare il sottilissimo meccanismo del pensiero non codificato. André Breton, il poeta teorico del surrealismo, aveva sollevato la problematica del riscatto dell’oggetto distogliendolo dal suo usuale contesto tanto da farlo risultare sconosciuto. René Magritte compì una ricerca intellettuale speculativa e giunse allo spaesamento per affinità, si pose a pensare alle immagini come problemi a cui dare rivelazione. L’indagine lo portò a realizzare splendide “assonanze”. Egli non procedeva, come la maggior parte dei surrealisti, verso una giustapposizione di oggetti dissimili, piuttosto muoveva la propria mente nella direzione dell’indagine dell’oggetto e delle sue equivalenze. La narrazione visiva del cielo azzurro colmo di nuvole bianche non corrisponde, in un processo razionale, all’immagine della casa illuminata dalla luce del lampione. Giorno e notte nella stessa sublime iconografia. Il paradosso si snoda in un processo dialettico. Tale tematica pittorica fu così apprezzata da musei e collezionisti che Magritte dovette dipingerne più varianti: tra il 1949 e il 1964 si enumerano sedici opere a olio e sette a tempera.

La versione custodita a Venezia è tra le più interessanti; nel 1954 furono realizzate quattro composizioni verticali de “L’Empire des lumières”, in quanto due collezionisti privati e un museo ne avevano richiesto la commissione ritenendo tutti di aver prenotato la prima versione. Magritte decise poi di venderla a Peggy Guggenheim, quindi per non deludere i committenti ne realizzò altre tre nello stesso anno. —

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