Dentro il Donbass la guerra fantasma nella carne dell’Ucraina e nel cuore d’Europa

Nella città di Donetsk, i fiori che nelle aiuole una donna pianta disperata, lavorando di vanga tra le case sdentate dai colpi di artiglieria, sono un atto di ribellione. “Devi riprendere i fiori - per Dio! - non questa distruzione! Niente altro, non devi riprendere niente altro!” urla. Prima di tutto vengono la dignità e l’orgoglio di cui Sara Reginella in “Donbass. La guerra fantasma nel cuore d’Europa” (Exorma editore, pagg. 309, euro 16,50) raccoglie le testimonianze con tocco impressionistico e le correda con foto in bianco e nero. Psicoterapeuta per professione, reporter di guerra per passione ha scoperto di essere nella blacklist Mirotvorets, schedata come “criminale”. Si è assunta il compito di svelare quello che il monopolio dell’informazione tace a proposito dell’Ucraina, ovvero che si tratta del territorio nella cui carne viva si sta operando la più vasta prova muscolare mai tenuta dall’epilogo della Guerra Fredda.
Il conflitto sottotono ma fratricida è rinfocolato dalla Nato che schiera, con l’operazione Defender Europe 2021, il proprio contingente militare lungo i confini della Federazione Russa. Putin che risponde mobilitando le forze armate…
E tra i due potenti litiganti, come sempre, la desolazione dei popoli: russo e ucraino, separati in casa che saprebbero convivere, sposati ancora dall’epoca sovietica, parenti già da prima. Uniti da lingua, usi e costumi sovrapponibili e che invece si sparano, sputandosi addosso accuse intercambiabili di fascismo da un lato, di terrorismo dall’altro.
Reginella, zaino in spalla, scarpina o viaggia nella terza classe dei treni, tra cipolle, frittelle e panna acida; passa in rassegna gente comune, volontari e combattenti, entra nelle trincee, parla con i miliziani. Nel suo peregrinare ogni tanto la guidano ciceroni di passaggio, giovani che reagiscono con un sorriso a fior di labbra alla “desinformatija” europea sulla guerra per procura combattuta in un nervo strategicamente decisivo per il trasporto del gas dalla Russia all’Occidente.
Quello stesso Occidente che pochi anni fa festeggiava la nascita di una nuova democrazia a sua immagine e somiglianza: Palazzi della cultura, cinema e biblioteche chiudevano, convertiti in centri commerciali e discoteche con la lap dance.
Il rimpianto impasta il dolore del presente. “Io sono sovietico e per me la resistenza è genetica” aveva dichiarato alla reporter Aleksej Mozgovoj, morto nel 2015 in un’imboscata, allora comandante della Brigata Prizrak, ovvero Brigata Fantasma, organizzazione militare e politica di stampo socialista dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk. Non è facile raccapezzarsi tra presunti golpe e interferenze politiche. Comunque le regioni di Lugansk e Donetsk, hanno dichiarato l’indipendenza dall’Ucraina - favorevole all’ingresso nella comunità europea - nel 2014, a seguito di un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale. Da allora una parte del mondo considera i resistenti dei terroristi filorussi, un’altra patrioti; invece combattono la propria immagine allo specchio.
Genius loci sono ora le case di campagna deturpate e i palazzoni sovietici smembrati che annegano in pozzanghere nere. Intanto il Maestro, un vecchio barbuto dalla faccia tolstojana, in un sottopassaggio di giorno trasfigura caos e devastazione in centinaia di disegni immaginifici. Una nave spaziale internazionale, un nastro magico, l’uomo d’oro, il periodo delle sabbie, un albero che ha fatto una magia… Poi, quando cala la sera, ricostruisce qualche pezzo di muro, incolla un piatto o una scarpa, spazza il pavimento. E viene da chiedersi se queste azioni sono insensate o non tradiscono invece la volontà di resistere a tutti i costi. —
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