Dentro i gulag con Martti Helde, un film shock

Dopo l’inaugurazione con “Due donne” di Vera Glagoleva, tocca oggi alle prime pellicole in concorso nella rassegna
L'apertura della sera alla Sala Tripcovich (Lasorte)
L'apertura della sera alla Sala Tripcovich (Lasorte)

TRIESTE. Sala affollata e apertura in grande stile, ieri sera in Sala Tripcovich, per la 26.a edizione del Trieste Film Festival, per quest'anno lunga un giorno in più - fino a venerdì 22 gennaio - e inaugurata da un'anteprima internazionale, “Dve Ženšc(iny” (Two Women-Due donne) che, come da previsione, non ha mancato di catalizzare spettatori. In platea, anche la moscovita Vera Glagoleva, prima regista ospite a dare il via alla rassegna.

Ed è partenza, oggi, per la maggiore sezione competitiva, quella dei lungometraggi, nove a contendersi il principale riconoscimento del festival. L'onore di aprire il concorso spetta all'estone “Ristuules” (In the crosswind), alle 14 alla Sala Tripcovich, film presentato al Festival di Toronto e che non lascerà indifferente il pubblico del festival tirestino. Originario di Tallinn, classe '87, Martti Helde vi racconta i fatti che presero avvio nel giugno del 1941 in Russia, quando più di 40mila persone vennero deportate in Siberia dal regime stalinista. In quel periodo, infatti, decine di migliaia di innocenti furono costrette, di notte, sotto la minaccia dei fucili spianati pronti a far fuoco a chi si fosse opposto, ad abbandonare le loro case. Dopodichè la divisione: le donne e i bambini caricati nei vagoni verso la Siberia, gli uomini inviati nei campi di prigionia. E se, come dichiara il regista, «la storia narra di un genocidio perpretrato nell'Unione Sovietica» allo scopo di epurare i Paesi Baltici dai loro abitanti nativi, il tema che sembra stargli più a cuore è quello della libertà, anzi, come lui stesso sottolinea «la libertà della mente umana».

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La sala gremita a inizio proiezione (foto Lasorte)

Il film si concentra a seguire l'odissea di Erna, le cui lettere dalla Siberia sono alla base della narrazione. Fin dal principio il film s'impone per le scelte registiche forti e piuttosto coraggiose, caratterizzate da un bianco e nero pieno, quasi carnoso, dall'assenza di dialoghi ma soprattutto da un complesso stile di girato costruito attraverso lunghi piani sequenza, lenti e assai compositi dove la macchina da presa procede seguendo gli attori immobili come manichini disposti in vari piani di profondità, creando piccoli quadri che, così composti, raccontano una storia che va arricchendosi sempre più di nuovi elementi (mirabile il carrello lungo le inferriate attraverso cui vengono svelate le fucilazioni).

Niente nomi altisonanti in competizione, avevano avvisato i direttori artistici, ma giovani registi di nazioni poco visibili dove il cinema sta vivendo, a sorpresa, un momento felice. Come ad esempio la Bulgaria, ben rappresentata dal film di oggi delle 19.30: se l'estone “Ristuules” si è fatto notare a Toronto, Maya Vitkova lancia oggi al festival triestino il suo “Viktoria” dopo averlo presentato al Sundance Festival, che ha salutato come «divertente e poetica» la storia paradigmatica di una bambina nata alla fine degli anni '70 senza cordone ombelicale. «Dunque – spiega la regista - senza legame con la madre che le ha dato la vita» e che verrà nominata “Bambina del decennio”, coccolata, vezzeggiata e famosa fino alla resa dei conti che arriverà con il crollo del regime.

Continua intanto la diretta Twitter con l'hashtag #26tsff

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