Davide, il Ringo del Nebraska da cui la nonna mi ha insegnato a scappare

I dipendenti affettivi “sabotatori” distruggono le relazioni quando iniziano a diventare serie. Rischi di passare la vita a correre dietro a qualcuno che non ha intenzione di fermarsi. Me ne sono andata.
I protagonisti del racconti nei disegni di Gianluca Chicconi
I protagonisti del racconti nei disegni di Gianluca Chicconi

TRIESTE È mezzanotte. C’è ancora gente che cammina sui marciapiedi, alcuni si tengono per mano e sembrano abituati alla felicità e questo non può essere perché la felicità è nota per fregarsene dell’abitudine. La luce dei lampioni illumina il rosso del mio scooter. Imbocco via Mercato Vecchio fino all’anfiteatro romano e guarda guarda, appoggiato al parapetto di recinzione c’è Davide, STRAORDINARIAMENTE in compagnia di una donna. Davide è un dongiovanni. Spengo il motore e dico: «Ciao gente». Voglio proprio vedere chi è la femmina al suo fianco.

«Ah, sei tu» fa la donna. «Vi conoscete?» chiede Davide.

«Da molti anni», dice Ginevra, non siamo più così amiche da quando ha deciso che non ero una frequentazione adatta alla sua carriera giornalistica. In ogni caso è gay, che ci fa Davide con una lesbica? Se Ginevra si è data a qualche nuovo slancio eterosessuale, deve essere solo perché gliel’ha imposto qualcuno che conta: «Tu capisci», deve averle detto qualche pezzo grosso «se viene fuori che sei gay al massimo puoi recensire vestiti etnici».

Ho buttato via il Bignami del primo incontro e sono venuto a cercarti
I protagonisti immaginati da Gianluca Chicconi

Non se lo sarà fatto ripetere due volte. Comunque io e Ginevra ci ignoriamo da secoli. Vivo con mia nonna Altea da quando i miei genitori sono morti in un incidente aereo. Avevo 9 anni. Altea non era certo la nonnina ossessionata dalla ricerca di un detersivo. Dopo la morte di mamma e papà abbiamo cominciato a passare la maggior parte del tempo davanti ai tavoli della roulette di Venezia. Ma prima nonna mi trascinava in un cesso della stazione e mi dava un panino al prosciutto. Faceva freddo. Abbastanza freddo. E c’era puzza. Abbastanza puzza. Ma avevo fame e rimanevo con quel senso di nausea in bocca. Quando nonna usciva dal bagno della stazione era come una diva di Hollywood. Mi strizzava il naso e diceva: «Non è meravigliosa Venezia?».

In realtà l’aria era fetente per poterla respirare. Una sera portai una mano alla gola e caddi a terra. D’altra parte è questo che accade alle testoline di cazzo che vanno in giro con giocatrici d’azzardo. Quando ho riaperto gli occhi ero tra le braccia di nonna che diceva: «Respira». E respira. E non aver paura. Quindi è vero, le cose possono cambiare. Se hai abbastanza freddo è possibile che gli altri ti vengano intorno, ma devi avere abbastanza freddo. Quasi da morire. Puoi diventare un essere umano anche davanti a una fila di lavandini. Sì certo esistono nonni che si siedono alle slot machine e vincono 100 euro ma lì non c’era nulla di casuale: «C’è da stupirsi di quanto siano snob i mazzieri» diceva nonna con un pacchetto di soldi in mano. «So ancora contare le carte. Vedrai che non ci mandano in prigione».

Nonna non è una santa, d’accordo, la sua vivacità è stata segnalata anche in questura, comunque ha sempre avuto un’incomprensibile simpatia per Ginevra, anche se la mia ex amica ha messo in giro un bel po’ di chiacchiere sulle abitudini illegali di nonnina e le ha sempre usate contro di me, per giustificare il fatto che come amica mi ha mollato per la sua splendida carriera. Una vera Erinni. Anche adesso, sul marciapiede di via Mercato Vecchio, dopo aver bofonchiato qualcosa a Davide, non mi risparmia il suo veleno. Mi dà un’occhiata e mi palpeggia la t-shirt: «Dove l’hai comprata? A una rivendita di abiti smessi da ricche fornaie?».

Davide soffoca un risolino e mi prende sottobraccio. Io sento un palpito che va dall’arto al cuore, Davide mi è sempre piaciuto, ma riesco a liberarmi. Tento di riaccendere il motorino. Cazzo. Non parte, è rimasto a secco. Lo lascio lì e senza salutare inizio a percorrere via San Spiridione a piedi. Per la cronaca mi trovo in pieno Borgo Teresiano, un delizioso quartiere voluto da Maria Teresa d’Austria per il fiorire del commercio portuale. Anche di questi tempi il traffico è destinato al mercato globale. Moldave, russe, ucraine. Ce n’è una italiana con un caffettano d’oro aperto fino all’ombelico. Le rivolgo un debole sorriso e vado avanti. Ho un po’di panico, devo ammetterlo, anche perché mi si avvicina una Renault nera, dubito che l’autista voglia chiedermi se leggo Proust in francese. «Dai sali» dice Davide abbassando il finestrino «ti porto a casa io». La sua è una carità pelosa, cerca di rendersi utile tentando di ingraziarsi una femmina in più, apro la portiera, tanto il peggio che può capitarmi è che se la rida con Ginevra. Non posso fare a meno di notare che ho appoggiato il sedere su un golfino rosa shocking. «E questo?» dico sfilandolo dalle mie chiappe. Davide guida. Io guardo avanti. Tento di non fissare le sue bellissime mani sul volante mentre lui non ha nessun problema a esaminare la mia gonna

«Come mai conosci Ginevra?» chiedo.

«Lavoro».

Davide si occupa di virus, parassiti, batteri, roba così: «E a lei cosa gliene frega dei tuoi parassiti?».

«I giornalisti spesso ci chiedono quel genere di dati che non trovi nei manuali di storia o di scienza».

«Ah».

«Come credi siano arrivati ai vaccini per la gonorrea, il colera o la peste? Un bel po’ di test illeciti».

«Io di Ginevra non mi fiderei», dico.

Poi parcheggia all’Obelisco di Opicina, uno spiazzo con una colonna assai faraonica e poco austriaca. Da qui il panorama è stupendo. Fisso il parapetto di cemento che precipita su un dedalo di piante e rocce.

«È bello qui» dice.

«È bello qui» dico.

Schiaccia un pulsante e inserisce un cd di Whitney Houston nello stereo dove, a origliare bene, il padiglione auricolare diventa una stecca di vaniglia. Non posso fare a meno di ricordare quando feci una mezza scena a un mio ex, Valerio, sorpreso a sospirare davanti al dvd di Body Guards: «Ma perché guardi questa immondizia?» gli avevo chiesto. «Mica voglio finire i miei giorni accanto a una vecchia astiosa e acida», rispose.

E infatti si è regolato di conseguenza. Ora sta con Lucia, un’altra mia ex amica. Ho imparato la lezione, bisogna essere più dolci, agli uomini piacciono le donne dolci per cui sorrido a Davide e lascio che l’abitacolo dell’auto si impregni di dolcezza con Whitney Houston mentre la schiena comincia a dolermi, non sono per niente rilassata, mi muovo in continuazione e infine mi giro verso la sua postazione. Visti così sembriamo proprio due attori davanti a una telecamera romantica.

Lui ha tutte le intenzioni di raccontarmi le sue vecchie passioni: «Quando avevo quindici anni sono stato infelice».

Gli do un’occhiata e pare una vecchia foto. «All’inizio ero un disastro» dice «con le donne intendo, non funzionavo proprio, non sai bene se devi chiamarla. E con quale frequenza? Come fai a dirle che ti piace?».

In tutta sincerità non capivo dove voleva andare a parare. Più che altro sto armeggiando con il sedile cercando di venire a patti con la mia schiena.

«Ti sto annoiando?», dice.

«Sono le mie ossa», dico «ora prendo una pastiglia di Methotrexate» e inizio a cercare dentro la mia borsa.

Lui fa scivolare le braccia, ho il sospetto che voglia avvicinarsi e invece traffica con le mani dietro al suo sedile. Forse cerca le sigarette, un pullover, un ricordo romantico da ficcare dentro la mia tempia. Poi tira fuori un calice e una bottiglietta d’acqua. Non un bicchiere di carta o di plastica. No. Un CA-LI-CE-DI-VE-TRO. Immagino che se lo porti in giro sul sedile posteriore, accanto all’ascia o che so io.

Non è mica normale, Davide. «Comunque è tipico dei rapporti sentimentali» dice «da fuori sembrano più belli». «Rapporti sentimentali?» il sopracciglio mi si alza a squadra, da quello che so Davide usa le donne come porta oggetti. Lui nota il mio sguardo scettico: «In fondo ho sempre tradito solo se non ero innamorato». In fondo nei film e nelle pubblicità l’infedeltà sembra una cosa irresistibilmente giusta, il pezzo più appetitoso della tua vita. «E magari non ti chiedevi se lei era innamorata, in fondo», dico.

«E tu?».

«Io cosa?».

«Stai con qualcuno? Com’è che non ti si vede mai con un uomo?» dice prima di far spuntare il suo acume «hai dei problemi? Intendo qualche problema lì sotto, qualche impedimento… o forse qualche ostacolo psicologico…».

«Prego?».

«Sesso. Ti dice qualcosa?». Prendo il suo bicchiere di vetro e inizio a bere. Davide deve essere uno di quelli che per riprendersi dal rifiuto della più bella della classe ha puntano tutto sulla rivincita futura, mi pare di sentirlo: To’ da ragazzo non mi filava nessuno, ma ora ho tutte le donne che voglio. E le tradisce pure, se lui NON è innamorato. Così nel 1996 ha fatto il colpaccio con Miss Baviera, Davide è uno sciupafemmine, ma è anche un ragazzaccio con una profonda sensibilità. È uscito pure con Sayoko, un’artista giapponese che ha avuto due processi per oscenità, niente a che fare con la sua più perversa esperienza: farsi fare cose da sua cugina in un fienile. «Io non la toccavo» dice «faceva tutto lei». 

Quasi mi commuovo, anche se io mi commuovo esclusivamente per la morte di Hal 9000.

Da nonna Altea ho imparato che le domande più semplici sono anche le più stronze: «Ci sei mai stato?», dico. «Con chi?». «Con la più bella del liceo».

Lui non risponde e smorza lo sguardo verso il basso. Tiè. Quanti se ne incontrano di donnaioli consumati che fanno gli sbruffoni solo perché da giovani erano a secco? Questo tizio vorrebbe dare, A ME, lezioni di sesso. A me che ad anni 15, per capirci di più sulla confusa identità della mia ex amica Ginevra, avevo lasciato sopra il tavolo della cucina il libro 450 animali bisex di Joan Roughgarden. Un libro del genere è l’ultima cosa che una persona vorrebbe trovare a casa di sua nipote. Poi però nonna Altea mi consegnò una rivista da regalare a Ginevra che si intitolava Petting girl, che era davvero l’unica cosa che una nipote non vorrebbe trovare in mano di sua nonna. Altea la sapeva lunga, era stata lei a dire che i miei insuccessi erano causati dalla mia dipendenza affettiva: «I dipendenti affettivi bramano disperatamente l’amore e allo stesso tempo ne sono terrorizzati» aveva detto «i peggiori sono i dipendenti affettivi “sabotatori”, così li chiamano, distruggono le relazioni quando iniziano a diventare serie. E poi ci sono “i portatori di fiamma”, ossessionati da persone non disponibili, insomma soffrono per chi non hanno avuto».

Direi che tutto pare corrispondere al profilo di Davide più che al mio. Penso a perché la vita non finisce come inizia, con un orgasmo, invece di recitarla facendo la parte del ganzo, dello sbruffone, la parte di Ringo del Nebraska quando non ti accorgi che l’unica pistola carica è quella contro te stesso: «Senti Davide, ho sentito di un parassita che riesce a fare fuori l’organo sessuale di un uomo».

«Già. Non chiederlo a me. L’esperta sei tu».

«Oh, davvero?» dico.

«Si chiama candirù» dice. «Risale i flussi controcorrente delle acque del Rio e il poveraccio che si immerge potrebbe trovarselo nelle vie urinarie».

Un attimo per favore, l’orrore deve ancora venire: «Dopo il pasto di sangue il parassita si gonfia e impedisce il passaggio dell’urina. Se non sopravviene prima la morte per choc doloroso, l’unica soluzione è un intervento chirurgico e addio pene».

Mica è necessario il candirù per staccarsi dal proprio uccello, caro il mio Davide Ringo del Nebraska. Comunque a me la storia della cugina e del fienile mi ha alzato l’adrenalina e qualcuno dovrà pur battere il servizio. Allungo la mano per sfiorare il nodo della sua cravatta. Lui si china in avanti e fa scivolare le dita sul contorno del mio viso. Poi sento che raccoglie il tessuto della mia t-shirt e con la testa in fiamme si trascina lungo il mio collo. Con un clic i sedili sono quasi orizzontali e io volo contro la luna che imbianca, anche perché Davide ci sa fare e sussurra il mio nome – Elisa… – dice. «No… è che forse…» mugugno mentre cerca di salirmi sopra.

Mi mordo il labbro così forte da farlo sanguinare. E se poi se la batte come hanno fatto i miei ex fidanzati o come i miei ex genitori? Come hanno potuto? Invece sì, tesoro, hanno potuto. E allora vai, pesta duro, ricordati cosa si sono persi. «Ehi, ci sono anch’io» dico scollando le sue mani. «Scusami. Mi sembrava ti andasse…».

Certo che mi va, Davide sembra sinceramente attratto, ma anche Ringo del Nebraska sembrava un pistolero affidabile, salva Kay dai cattivi e poi la pianta in asso. Mai capitato? Il problema con questi tizi è proprio il loro coinvolgimento, arrivano sempre pieni di buone intenzioni e le buone intenzioni corrispondono a relazioni fugaci, espresse con tutta la cortesia possibile, ma se Cupido fa centro camminano a tentoni per trovare la presa d’aria più vicina e state certi che il referto del medico legale sarà: MORTE PER CHOC DOLOROSO. Ma col cappello da cowboy in testa. Insomma Davide è ok, ma qualcosa mi dice che corrisponde proprio a quei profili là, quelli che elencava mia nonna, i dipendenti affettivi, i sabotatori, arrivano, scappano, arrivano di nuovo per fuggire ancora. E ancora. Rischi di passare la vita a correre dietro a qualcuno che non ha nessuna intenzione di fermarsi.

Semplicemente per paura. Io resto abbastanza fredda da scivolare via nel chiarore fioco, Whitney Houston continua a cantare, il pomello vibra. La portiera si apre. La serata è magnifica. E me ne vado. —

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