David Maria Turoldo prete troppo libero che pregava in versi
«Uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini», così l'arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini dava l'addio a padre David Maria Turoldo, celebrandone il funerale l'8 febbraio 1992. Da allora molto è stato scritto sulla sua figura. Testi che si focalizzano sulla sua poetica e soprattutto sul suo profilo politico, spesso però sostenuto da una sorta di aneddotica.
Come poeta, David Maria Turoldo non è mai stato "riconosciuto" dalla società letteraria ufficiale, non almeno nei più prestigiosi canali di accoglienza, nonostante ne abbiano scritto Giudici, Zanzotto, Erba. Sua grande estimatrice fu Alda Merini ed è facile capire perché: spesso entrambi accomunati da quell'eccesso di furore spirituale. Insomma Turoldo non è sicuramente Clemente Rebora. Rimangono tuttavia eccellenti le sue prose, e le prose poetiche, oltre a quella che è stata una delle sue raccolte migliori, "Io non ho mani" (1951), primo libro dell'autore, poi confluito in "O sensi miei" (1997).
Ma Turoldo era appunto uno di quegli uomini di fede che faceva della vita un'opera e che si pone quale personaggio che non può essere ignorato nelle difficili transizioni politiche e religiose del '900. Mancava sicuramente una sua biografia compiuta, una ricostruzione basata sulle fonti storiche, sugli archivi, sugli epistolari, su tutto ciò che di fondato ha permesso una ricomposizione dell'uomo, prima ancora del poeta. Ci ha pensato Mariangela Maraviglia con "David Maria Turoldo. La vita, la testimonianza 1916-1992" (Morcelliana, pagg. 400, euro 30), un tomo che ha il merito di incrociare la vita del poeta con momenti capitali della Chiesa e che senza titubanza, con precisione bibliografica, non esita a mettere in luce le virtù e i limiti di un'istituzione che doveva riservarsi il perfetto controllo del suo potere.
D'altra parte l'epoca affrontata nel volume è proprio quella calda e caldissima del fascismo prima e della prima Repubblica poi, compresa l'oscura fase del terrorismo. È un testo che non tralascia nulla, né le azioni di Turoldo documentate dagli archivi, dalle riviste e dagli epistolari, né le testimonianze dei compagni più vicini, a partire dal fraterno amico Camillo De Piaz. I nomi che emergono sono tanti, le corrispondenze e le azioni con padre Balducci, don Milani, Mario Appollonio, Carlo Bo, Giovanni Vannucci e quel Zeno Saltini il cui sostegno alla comunità di Nomadelfia, costò a Turoldo il primo esilio.
Ciò che emerge è come padre David, pagando di persona, sia stato uno degli esponenti più rappresentativi di un rinnovamento del cristianesimo e assieme di un nuovo umanesimo sociale che si sosteneva sulla forza disincantata e frontale della lezione evangelica. Decisamente troppo scomoda in certe fasi. Scomoda su più fronti, nelle sue rivoluzionarie omelie al Duomo, tanto da essere braccato dai tedeschi, scomoda nelle fasi più partecipi di una comunità "francescana" come Nomadelfia, scomoda dalle colonne della rivista "L'uomo", infine culminata con una definitiva condanna da parte dell'"Osservatore Romano" che invitava gli aderenti a trasferirsi nella Dc.
E poi gli anni vitalissimi delle iniziative culturali fiorentine, dove interagisce attivamente con don Milani, in quella Firenze da cui verrà nuovamente esiliato per la sua cultura aperta a un'idea di eccessiva tolleranza e libertà. Basti pensare ai suoi cineforum (da Ejzenstejn a Visconti), subito censurati, oltre ai bollettini delle edizioni che aveva fondato (la celebre Corsia dei Servi). Sempre dentro e fuori ai canoni dell'Ordine dei Servi di Maria, soprattutto a Sotto il Monte, nella pratica fattiva dei movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta. Fino ai disincanti dei decenni successivi.
Mariangela Maraviglia, che da sempre si occupa di figure e movimenti del cattolicesimo contemporaneo, non tralascia neppure la vena più creativa. Non tanto quella poetica, quanto la vocazione del traduttore, di cui ci comunica la genesi di quei Salmi che vogliono essere un incontro fra teologia, poesia e Parola di Dio e che Turoldo auspicava come preghiera del popolo per tornare al popolo. Ma che la Chiesa non accettò mai, a caccia di cose meno poetiche e più ancorate ai testi biblici. E che forse, tra le tantissime censure, esili, repressioni fu quella che più mortificò il nostro, come ebbe a scrivere Turoldo: «Non aver potuto servire in pienezza, perché in odore di eresia com'ero, è stato rifiutato il dono più caro che avevo pensato di fare alla chiesa italiana. Fu il prezzo più alto che ho pagato».
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