Davanti a un caffè o a una pastasciutta ritornano Ragazzi i ribelli degli anni ’70

TRIESTE. L’appuntamento è al parco dell’ex Opp di San Giovanni a Trieste. Il suo regno. Claudio Misculin arriva sudato dopo una mattinata di lavoro in teatro: «Andiamo a mangiare a casa mia, vieni». Lo seguo nel rione di San Giacomo assieme a Roberto e Mario, due dei suoi ragazzi impegnati sul palco. Nella cucina dell’appartamento del Ponzanino, davanti alla pentola sul fuoco, è lui a rompere il ghiaccio: «Tu vuoi sapere di me… una parte della mia vita che non ho mai raccontato».
Azzardo il nome di Paolo Morelli, rispetto a lui schierato a destra negli anni Settanta, e chiedo se fosse stato suo amico. Misculin si gira di scatto: “Un fratello!”. Capisco che vuole raccontarsi, ma non del tutto. Mangiamo un piatto di spaghetti, poi iniziamo a parlare. Tiro fuori dalla borsa alcune foto in bianco e nero che lo ritraggono nel 1977, facendo esplodere Roberto per la sorpresa, mentre Mario ci guarda pensieroso e lui, Claudio, le prende in mano quelle immagini come fossero una creatura. E inizia a raccontare la sua storia.
Già, le foto di oltre quarant’anni fa rappresentano la base di partenza del libro “Ragazzi, immagini e storie di ribelli negli anni Settanta (Spazio InAttuale editore)” perché sono capaci di fermare il tempo. La storia di una fotografia rimasta per anni in un cassetto può raccontarla solo l’autore dello scatto o il protagonista di quell’immagine. Quella di Misculin l’ho scritta di getto, ma lui non ha fatto in tempo a leggerla. Poco tempo dopo quella pastasciutta, la malattia se l’è portato via…
Chissà cosa avrebbe pensato e detto, magari i sogni e le battaglie di quei ragazzi di sinistra e di destra le avrebbe trasformate in uno spettacolo teatrale. Non lo sapremo mai, come non sapremo i racconti di tanti giovani degli anni Settanta morti troppo presto come Almerigo Grilz e Paolo Morelli. E così sono arrivate altre foto, altre storie di ribelli da svelare proprio con l’obiettivo di ricostruire una fase delicata, maledetta e affascinante, vissuta a Trieste e non solo, perché era arrivato il momento di far “parlare” quelle immagini.
Non con un elenco predefinito di nomi, ma andando a rintracciare quei volti immortalati in scatti inediti, spesso del tutto sconosciuti e in molti casi irriconoscibili a distanza di quasi mezzo secolo, con l’obiettivo di mettere a fuoco un contesto sociale, culturale, umano, politico e di costume. Dove fanno capolino e si mescolano le letture di Porci con le ali e Il Signore degli anelli, i film spaziano da La classe operaia va in paradiso a Guerre stellari, il look si divide fra l’eskimo e il tanker di piazza Goldoni oppure il verdone di viale XX Settembre.
È un’idea iniziata a maturare cinque anni fa, il 1° maggio, mentre facevo da cicerone nella sala Veruda di palazzo Costanzi, dietro piazza Unità a Trieste, nel corso della mostra “A colpi di manifesti”. Entra un gruppetto di persone, reduci dalla manifestazione, incuriosite da quella raccolta di poster politici e immagini degli anni Settanta. C’è una donna fra loro, non nasconde l’emozione davanti a un pannello che la vede ritratta, in un corteo femminista, assieme a un’amica. Non riesco ad avvicinarla. Alcuni anni dopo entro in un negozio e riconosco una componente di quel gruppo, la fermo e ottengo il nome della ragazza ritratta in primo piano, Clara Sforzina, che contatterò scrivendole una mail trovata altrettanto per caso e fissando poi un lungo caffè. E di appuntamenti al bar, con sconosciuti e non, per scrivere Ragazzi ce ne sono stati tanti.
A volte, vista la distanza, ho dovuto scegliere il telefono e la mail. Mi metto nei panni di Daniele Lipera, che avevo scoperto in un paio di foto, quando dall’altro capo del telefono di casa un emerito sconosciuto come il sottoscritto, dopo aver consultato Pagine bianche, lo contatta e gli chiede conto della sua presenza a Campo Hobbit 1977. Al suo posto forse avrei chiuso la telefonata. Invece lui non l’ha fatto, come quasi tutti quei ragazzi di un tempo, accettando di raccontare la propria storia.
Ecco, serviva la spontaneità lontano dalla retorica e dal semplice amarcord per descrivere una stagione poco approfondita e dare degli spunti di riflessione. Non poteva quindi bastare una cronologia, anche dettagliata, dei fatti di cronaca per entrare veramente negli anni Settanta. Servivano le storie di donne e di uomini – quasi tutti irregolari, nel carattere e non solo nello schieramento – per raccontarli in prima persona, facendo emergere anche le pagine di cronaca. Non solo la cronaca. Un percorso per certi versi fatto alla rovescia che, a maggior ragione, svela una realtà complessa come quella di Trieste, i meccanismi che spingevano una generazione a sfilare in corteo scegliendo di stare a destra o a sinistra. Un confine davvero sottile e per nulla scontato che, in mezzo a tanta violenza, apre uno spaccato di umanità e rispetto, mettendo in evidenza le differenze e allo stesso tempo smonta le certezze.
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