Daniele Mencarelli: «Il dolore è onesto e aiuta a conoscersi»

Oggi lo scrittore romano incontra il pubblico  alle 18.30 all’Antico Caffè San Marco di Trieste con il suo libro “Tutto chiede salvezza”



Il romano Daniele Mencarelli è la rivelazione dell’anno. Qualche mese fa ha vinto il Premio ‘Strega giovani’ con il romanzo ‘Tutto chiede salvezza’, edito da Mondadori. Un romanzo crudo, che racconta della sofferta esperienza di Daniele, il ventenne protagonista, che in seguito a una violenta esplosione di rabbia per abuso di droga e alcol viene sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio. Per sette giorni – uno per ogni capitolo del libro – Daniele convive in uno stanzone con cinque uomini con problemi mentali. Nei suoi libri, fortemente autobiografici, Mencarelli affronta il tema del dolore senza fare sconti al lettore, come in ‘La casa degli sguardi’, uscito qualche anno fa, dove racconta la sua esperienza con i piccoli malati all'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. Oggi al Caffè San Marco alle 18.30 Mencarelli incontrerà il pubblico nell’ambito di ‘Un mare di racconti’, la rassegna di eventi collaterali alla Barcolana.

‘Tutto chiede salvezza’ è uscito nei giorni precedenti al lockdown. Il dolore che lei affronta è stata quella con cui molti hanno dovuto fare i conti in quei mesi.

«Ci sono diversi parallelismi possibili tra il libro e quello che si è scatenato subito dopo - dice Mencarelli -. Abbiamo dovuto fare i conti con una realtà mutata in modo improvviso e ognuno ha avuto di fronte due scelte: imbarbarirsi ancora di più o fare di quella realtà mutata un punto possibile di ricerca interiore, di approfondimento delle relazioni. Ho sentito di gente che ha riscoperto il vicinato, un gruppo faceva una spesa unica e ogni sera cucinavano i piatti che decidevano assieme. Ma ogni volta che la normalità ci riagguanta succede che quella novità viene dimenticata, la nostra società crea un cordone anestetico a questo cambiamento interiore».

Lei scrive che il dolore è onesto, è una forma di verità.

«Il dolore è un limite nel perimetro dell’umano, tutti quanti prima o poi fanno i conti col dolore e scoprono che nel dolore esiste una possibilità di vita che fa di quel dolore un diaframma utile da attraversare in maniera più consapevole. Una sfida a conoscerci meglio, a viverci più a fondo. In questi due libri il dolore è lo stadio iniziale che serve a essere più consapevoli di noi stessi. Dobbiamo riappropriarci del dolore come imprevisto che ci invita a uno scavo più impegnativo».

Lei è soprattutto un poeta. Ama particolarmente Sbarbaro e Caproni. E Saba?

«I miei tre autori italiani preferiti sono Caproni Saba e Sbarbaro, tutti e tre uomini di città di mare. Saba è stato quello che ha teorizzato in pieno Novecento che in mezzo alla produzione di poesia sperimentale non restava che la poesia onesta. Un’affermazione giusta».

È ancora possibile la funzione pubblica della poesia?

«È stata data per morta dopo Auschwitz, ma per me la relazione tra uomo e poesia è una relazione ciclica, continua ad avere un ruolo. Andiamo in maniera naturale verso una società che va verso la poesia. Oggi il ruolo del poeta è marginalizzato, ma credo che questi momenti di apparente vuoto servono a preparare nuove richieste che prima o poi torneranno a essere espresse». —

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