Daniela Barcellona è la voce di Trieste: «Ho seguito la Barcolana dalla Cina»

TRIESTE. Profeta in patria? Meglio chiederlo a lei. Daniela Barcellona, mezzosoprano triestino di fama internazionale riceve oggi, 7 gennaio, alle 11, nel salotto azzurro del palazzo comunale, il sigillo trecentesco della città di Trieste. Le verrà consegnato dal sindaco Roberto Dipiazza.
Si sente un po’ profeta in patria?
«Anche se non canto molto a Trieste - risponde Daniela Barcellona - quando ricevo certi riconoscimenti e quando incontro la gente che mi chiede quando torno a esibirmi in città devo dire di sì: mi sento profeta in patria, da Trieste mi sento molto amata».
E perché in città non canta spesso?
«Ho il calendario pieno e le programmazioni nei teatri italiani vengono fatte con poco anticipo rispetto all’estero».
Non le manca un po’ il Teatro Verdi?
«Certo, ma i teatri italiani sono cambiati: ripeto, i contratti vengono stipulati troppo tardi nel nostro Paese. E sì che l’Italia è la patria dell’opera. Per esempio, tra pochi mesi sarò a Torino per Cavalleria Rusticana e il contratto non c’è ancora. Le agenzie preferiscono far prendere ingaggi sicuri all’estero, dove ho già impegni per i prossimi quattro anni. A Torino ho accettato perché era una proposta di parecchio tempo fa; alla peggio, mi farò una bella vacanza».
C’è un aspetto di Trieste che non ama?
«Amo tutto di Trieste, dove ho vissuto fino a cinque anni fa. Per me Trieste è un eterno stupore. La trovo sempre affascinante, un gioiello incredibile: per capirlo mi basta essere sul Molo Audace, a Miramare, a San Giusto, in piazza Unità. L’ultima Barcolana, per esempio, l’ho seguita dall’inizio alla fine via Internet, dalla Cina: uno spettacolo straordinario e la lontananza, anche in questo caso, si è fatta sentire. Per fortuna, le webcam collocate in più angoli della città rappresentano una finestra su Trieste che apro spesso e molto volentieri».
Lei però risiede in Svizzera…
«È più pratica: andiamo spesso in macchina, per esempio in Spagna e Germania, e la Svizzera è più comoda per gli spostamenti. Trieste però mi manca molto. Infatti, quando io e mio marito Alessandro (Vitiello, direttore d’orchestra, ndr) torniamo, ce la godiamo tutta. La nostalgia accresce la voglia di rientrare a casa».
Degli impegni che ha per i prossimi quattro anni ce n’è uno a cui tiene di più?
«A quello di febbraio a Bilbao in cui il direttore d’orchestra è mio marito, che è stato anche il mio insegnante di canto. Questa volta lavoreremo assieme a tutto tondo, per un’opera a me molto cara: Semiramide».
Venendo ai direttori con cui ha lavorato, con Muti ha un rapporto privilegiato…
«Ho la fortuna di lavorare con direttori di fama. Alcuni sono scomparsi come Abbado, Maazel, Prêtre, Marcello Viotti e Rostropovic, il grande violoncellista che mi ha diretto in un Requiem di Verdi: lavorare con lui ha rappresentato il coronamento di un sogno. Poi, devo molto al maestro Gelmetti, che è stato tanti anni anche al Verdi: nel ’99 mi ha voluto per Tancredi, a Pesaro, che ha dato avvio alla mia carriera. Con Muti, certo, il rapporto è intenso. A fine gennaio con lui farò il Requiem di Verdi a Tokyo con la Chicago Symphony. È sempre preparatissimo, continua a studiare sempre e non si lascia mai andare alla routine. Abbiamo fatto assieme due aperture della Scala, Aida al Festival di Salisburgo…».
…e il Requiem di Verdi al Sacrario di Redipuglia, nel 2014, alla presenza di più Capi di Stato…
«Una grande emozione. Era il Requiem per il Centenario della Grande Guerra. Mio papà, quand’era carabiniere, a lungo ha prestato servizio al Sacrario».
Alla sua famiglia di origine è molto legata...
«Mia madre è venuta a mancare due mesi fa. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto. Quando il Sigillo mi verrà consegnato li ringrazierò pubblicamente per quanto hanno fatto per me. Se lo meritano».
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