Dallo sradicamento all’identità plurima: scrittrici di confine tra Istria e Quarnero

In “Sei più cinque donne con la penna in mano” (Vita Activa)  Giacomo Scotti analizza l’esperienza di undici autrici
Da sinistra: Liana De Luca e Kenka Lekovich
Da sinistra: Liana De Luca e Kenka Lekovich

TRIESTE Le sorti politiche dell'Istria e del Quarnaro nel secondo dopoguerra e le conseguenze che hanno avuto sulla vita quotidiana sono temi dominanti nei racconti degli scrittori di quelle terre: sia di chi è rimasto sia di chi se n'è andato. Giacomo Scotti nel volume appena uscito per Vita Activa, “Sei più cinque donne con la penna in mano. Scrittrici e poetesse dell'Istria e del Quarnaro” (pp. 307, euro 17), ha selezionato da quel corpus, ormai consistente, alcune testimonianze femminili. Delle "rimaste" ne ha proposte sei: Anita Forlani, Ester Sardoz Barlessi, Isabella Flego, Nelida Milani Kruljac, Adelia Biasol, Laura Marchig, ben sapendo che anche altre avrebbero potuto essere scelte.

Inizia così la rassegna partendo dalle pioniere che, in condizioni tutt'altro che facili, hanno fermamente voluto salvaguardare l'identità linguistica e culturale della minoranza italiana; arriva poi alla generazione successiva, che ha potuto esperire una nuova condizione, umana e culturale. Dallo smarrimento iniziale alle rimozioni, dal ricordo a una prospettiva di futuro, quei racconti si sono infine attestati sul bisogno di una comprensione reciproca con le altre culture del territorio.

Quella femminile è stata dunque una funzione importante, dal momento che sono state anche le donne a dare alla comunità d'appartenenza una continuità non solo biologica, ma anche sociale e politica, organizzando complessi corali, insegnando nelle scuole, occupandosi di teatro, scrivendo sui giornali, permettendo insomma alla minoranza italiana di sopravvivere e di diventare, col tempo, un punto di riferimento, di aggregazione e di integrazione. La memoria e l'identità personale sono diventate così base e filo conduttore di una scrittura fatta di avvenimenti, figure, relazioni di saperi, intrisi della materialità del quotidiano.

Lo osservava Nelida Milani che per prima, e attraverso racconti che hanno ricevuto riconoscimenti internazionali, ha voluto e saputo superare anche la frattura dolorosa apertasi con le "andate". Il suo Bora, scritto con Anna Maria Mori, è diventato, in questo senso, un testo paradigmatico. Tra chi ha invece abbandonato le terre natali Giacomo Scotti ne ha scelte cinque: Marisa Madieri, Serenella Zottinis, Livia Cremonesi, Kenka Lekovich, Liana De Luca. Bisogna dire che queste scrittrici, ad eccezione di Liana De Luca, hanno iniziato a pubblicare quando ormai si erano indebolite le opposizioni tra mondo comunista e capitalista, tra stati totalitari e democratici.

In un clima di fine delle ideologie, il loro racconto memoriale tende infatti a rileggere il trauma non solo alla luce di quell'evoluzione storica, ma anche nella prospettiva di un'italianità quale parte di un'identità mitteleuropea molto più articolata. Insomma, a partire da Madieri, la consapevolezza di avere origini plurime è diventato motivo di orgoglio, al di là della nostalgia per terre che rappresentavano tra l'altro il mondo dell'infanzia, quello sì svanito per sempre. Forse non è un caso se a chiudere la raccolta sia allora Liana De Luca, le cui prime sillogi rimandano ad anni molto più lontani, continuando poi nel nuovo millennio.

Scotti si sofferma sulle sue scelte stilistiche e in particolare sulla sua disposizione a unire memoria e futuro grazie a una sapienza del cuore e a un'ironia che Barberi Squarotti ammirava quali veicoli poetici di bellezza e di vita.

È un messaggio finale ottimista e certamente da condividere, ma cui va aggiunta un'osservazione peraltro non taciuta nel testo. La più giovane del gruppo, infatti, ha esordito quando un'altra guerra etnica era scoppiata in Jugoslavia: la categoria dell'esule, nei testi di Kenka Lekovich, ha assunto allora una connotazione più articolata e, data la multiculturalità consapevole dell'autrice, si è aperta a trasformazioni semantiche di non poco conto: l'esilio si è rivelato essere una costante della storia, cagionato da fattori nazionalistici, ma anche da altre forme di potere. Anche la lingua ne subisce le conseguenze: al suo italiano, il cui lessico è da lei messo a confronto con altri idiomi mitteleuropei, che futuro spetterà in un mondo globale? Un ricupero purista, una bancarotta filologica o l'ingresso in una zona "Schengen", franca e senza confini, dove si possono ancora rimescolare le carte? —
 

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