Dalle sorgenti alle foci il misterioso viaggio del fiume che non c’è
Questo è un viaggio lungo il fiume che non c'è. Il Timavo è fra i corsi d'acqua più misteriosi del mondo, ha due nomi, tre nazionalità e da oltre due secoli alimenta le speranze, i sogni e le ossessioni di quattro generazioni di esploratori e scienziati che tentano di svelarne i segreti. Nell'antichità segnava l'estremo limite orientale tra il mondo romano e le genti illiriche non ancora sottomesse all'impero, secondo il mito è risalendo le sue foci che Giasone in fuga dalla Colchide con il Vello d'Oro riuscì a mettersi in salvo con i compagni, mentre lungo le sue sponde secoli di storia raccontano di guerre e scorrerie, dalle legioni di Aulo Manlio Vulsone in marcia contro gli Istri fino ai massacri della Prima guerra mondiale a ridosso delle foci.
Non è facile dare un'idea immediata di cos'è, di cosa rappresenta, il fiume Timavo/Reka. Nasce in un bosco della Val Malacca, in Croazia, alle propaggini basse del Monte Nevoso, che come una spugna strizzata ne alimenta le infinite polle delle sorgenti. Pian piano, attraversando faggete e piccole valli il fiume misterioso si ingrossa e galoppa sempre più allegro per una cinquantina di chilometri fino a imboccare un corridoio di canyon che lo spinge dritto nelle voragini delle Grotte di San Canziano. Lì scompare, per riapparire alla luce del sole quaranta chilometri più a valle, a Duino, sfociando nell'Adriatico attraverso tre rami insinuati in una terra talmente ricca di storia che sotto ogni pietra si trovano le tracce dell'uomo nel tempo.
Dove vada e cosa combini il Timavo durante il suo lungo viaggio sotterraneo è una sciarada non ancora risolta. Da San Canziano in poi ci sono una dozzina di “finestre” - cavità profonde centinaia di metri - dalle quali ci si può affacciare per vedere scorrere nei recessi della terra le acque scure del fiume senza stelle. Sono abissi, grotte, pozzi - dall'Abisso dei Serpenti a quello di Trebiciano, dal Pozzo dei Colombi alla Grotta del Lago - che rappresentano altrettanti ingressi a un labirinto il cui sviluppo è conosciuto in una percentuale sì e no del 15 per cento. Il resto è ancora da tutto scoprire.
Cercare il fiume sotterraneo è come tentare di svelare il disegno di un prezioso affresco nascosto dietro uno spesso strato di calce, dal quale ogni tanto cade un pezzetto lasciando intravedere una bellissima, colorata parte dell'ordito misterioso. Per molti, questa caccia è una sfida irresistibile che può diventare una vera e propria ossessione. Solo dal punto di vista strettamente scientifico le questioni di carattere idrogeologico, geologico, chimico, idrodinamico e biologico che solleva l' esistenza del Timavo sono talmente tante da giustificare altri decenni di studi. Certi fenomeni, come l'allagamento di alcune doline carsiche durante le piene del fiume, non sono ancora del tutto chiari. Altri incanti, come i violenti soffi d'aria sparati in superficie dalle profondità della terra durante le piene non solo all'imboccatura degli abissi, ma anche in qualche angolo sperduto di bosco, rappresentano un'altra meraviglia della geofisica regalata dal Timavo. Poi c'è la sfida puramente esplorativa, la missione dei "geografi del vuoto" - gli speleologi - chiamati a disegnare le intricate mappe del mondo capovolto, dando ragione di una trama che delinea una parte del nostro pianeta: sono gli unici che - sulla terra - possono ancora farlo.
Infine, ma in realtà è la ragione prima, c'è la questione dell'acqua. In un futuro non lontano quella idrica sarà una delle grande emergenze che dovranno affrontare Paesi e governi fra i due emisferi del globo. Lo studio dei meccanismi e le origini delle acque sotterranee potrà dare uno contributo fondamentale alla soluzione del problema. E il Timavo, nel suo piccolo, ha ancora molto da dire a riguardo.
Assieme a Sergio Dolce, botanico ed entomologo, già direttore del Museo di Storia naturale di Trieste e a Marino Vocci, scrittore e giornalista, già sindaco per anni a Duino Aurisina, ragioniamo di questo e di altro mentre nel silenzio di una faggeta dai colori pastello risaliamo il Reka/Timavo cercando di arrivare alla sorgente. L'idea, in verità un po' bizzarra, è di percorrere il tratto in superficie del fiume seguendo le sue acque fino alla sorgente, per poi ridiscendere a piedi verso San Canziano/Škocianske Jame. In mezzo, da qualche parte nel bosco, c'è un confine da scavalcare, il limite fra Slovenia e Croazia, ma pensiamo lo stesso sia più semplice arrivare alle sorgenti risalendo il corso d'acqua, evitando i valichi. Non sarà così, perché un confine è un confine, e quello tra le due repubbliche ex jugoslave pur essendo immerso nell'Europa unita è ancora una frontiera invalicabile senza esibire documenti.
Poco prima di arrivare in auto all'imbocco del sentiero che segue il corso del Reka, abbiamo oltrepassato gli impianti industriali della Lesonit a Ilirska Bristica. Disposti a monte di San Canziano e sulle sponde del Reka, gli impianti della Lesonit - una delle prime aziende in Europa a produrre pannelli di fibra in ciclo umido - sono stati rilevati dal Gruppo Fantoni di Udine, che li ha riammodernati e ristrutturati con una spesa di 65 milioni di euro. Prima di tutto ciò la fabbrica stava avvelenando il Timavo, provocando montagne di schiuma che invadevano le acque profonde fino alla grande caverna dell'Abisso di Trebiciano. Oggi le cose sono cambiate, ma gli impianti, a ridosso del corso d’acqua, ricordano quanto sia fragile l'ecosistema del fiume sotterraneo.
Dopo Ilirska Bristica abbiamo passato Jasen, Vrbovo, Jablanica e finalmente a Trpcane incrociamo il Reka, in un' amena valle verde e silenziosa. Troviamo un fiume ancora giovincello, che ci spinge ad andare più su, verso Zabi›e, dove le acque cristalline scivolano su un letto di arenarie. Scendiamo dall'auto e saltelliamo a guado fra i sassi di quello che è ancora un fiumiciattolo. «È come camminare su un fondo marino di cinquanta milioni di anni fa», si anima Dolce, spiegando che le arenarie sono sabbie antichissime cementate dai sali di carbonato di calcio.
Dunque il Reka/Timavo fa anche questo, nella corsa segreta verso il mare porta le sue prime acque a scivolare proprio sul fondo di un antico mare. A Zabi›e lasciamo l'auto all'inizio del sentiero che si inoltra nella faggeta, e ci incamminiamo fiduciosi lungo un largo e facile sentiero verso il punto dove nasce il Timavo.
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