Dalla Romania della guerra fredda il viaggio di Sophie verso la libertà

Cosa fare se ci si ritrova una mamma straordinariamente oppressiva, emozionalmente ingombrante e per di più convinta comunista e fedele seguace di Ceausescu? Si può ricorrere ad antiche pratiche magiche e rinchiuderla in una bottiglietta. È quello che farà Alina per riuscire a sfuggire al suo controllo e lasciare clandestinamente la Romania degli anni '70. L'aiuterà una stramba zia, decisamente un'aristocratica strega, che aveva già rimpicciolito il marito per sottrarlo alla polizia del regime.
Alina è la disarmante protagonista di “Bottigliette”, deliziosa opera prima di Sophie van Llewyn ora pubblicata dall'editore Keller per la bella traduzione di Elvira Grassi (pp. 230 euro 16). Sophie van Llewyn è una giovane rumena che scrive in inglese short stories e flash fiction. “Bottigliette” è stato finalista del People's Book Prize 2018 e del Republic of Consciousness Prize 2019. Prima di trasferirsi in Germania, Sophie ha studiato medicina nella sua città natale, Tulcea, nel sud-est della Romania.
“Bottigliette” rientra nel genere della 'flash fiction', ed è l'assemblaggio di 51 brevi testi, caratterizzati da stili diversi (lettere a S. Nicolò, tabelle, citazioni commentate, orari, cartoline etc) che, messi assieme, contribuiscono a definire l'intera tessitura della storia narrata. Un genere giovane e flessibile, che lascia molto spazio all'innovazione. “Bottigliette” è di fatto nato mentre la sua autrice partecipava a un “generative flash fiction workshop” e - a un primo flash che descriveva una drammatica scena alla frontiera tra la Romania e la Germania negli anni '70 - ne sono seguiti rapidamente altri cinquanta.
Il risultato è un godibilissimo, curioso, empatico mosaico che ricrea la vita d'una famiglia rumena negli anni della guerra fredda. Ne scaturisce l'immagine di un comunismo mitizzato: odiato e rimpianto al tempo stesso. Per la scrittura del libro Sophie van Llewyn si è ispirata ai ricordi dei suoi genitori, alle memorie dei nonni, alle storie sentite in giro e a una certa nostalgia per il vecchio regime ancora forte tra le classi sociali più svantaggiate. Lei stessa da bambina, all'asilo, ha vissuto quell'atmosfera materializzata nelle tradizionali uniformi scolastiche comuniste blue scuro: una lunga salopette sopra una camicia a quadretti e in testa un basco con un enorme pom pom rosso. La storia del lungo viaggio di Alina verso la libertà o meglio verso il miraggio della libertà, è narrato ricorrendo a un sorprendente “social-realismo-magico”.
Così il buio regime di Ceausescu è descritto da Sophie van Llewyn attraverso le lenti del folclore, delle superstizioni e delle credenze popolari che ancor oggi condizionano le vite del popolo rumeno. In particolare in occasione di eventi importanti come i matrimoni, le nascite o i funerali, in Romania è uso rispettare antiche tradizioni e ancestrali rituali. “Una volta che entri in Romania – ha dichiarato la scrittrice in un'intervista – l'esistenza delle “Sânziene” o delle “strigoi” non sembra più così fantastica come potrebbe apparire in altre parti d'Europa. Sono creature alle quali la gente ancora crede e che teme, proprio come in Irlanda le persone credono alle fate e ai folletti”. Tutto comprensibile, ma l'insopportabile mamma di Alina resterà chiusa nella bottiglietta? —
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