Dalla città al Carso gli eroismi dimenticati delle staffette partigiane italiane e slovene

Studi recenti rivalutano il ruolo e la presenza delle donne spesso giovanissime nella lotta di Liberazione nella Venezia Giulia 

il saggio

MARINA ROSSI

Quella della staffetta fu una mansione ampiamente praticata negli anni della dittatura fascista sfociata nella II Guerra Mondiale. Donne di diverso orientamento politico e culturale, italiane e slovene, decisero di sostenere la lotta partigiana per solidarietà ed idealismo, nella piena consapevolezza dei rischi che essa comportava. Più raramente utilizzate come combattenti, le antifasciste della Venezia Giulia svolsero attività di staffetta o di supporto logistico per le formazioni partigiane, trasporto di materiale di propaganda e viveri, lavori di cucito, di cucina ecc.

Studi recenti indicano una nutrita presenza femminile sia in città che sul Carso triestino. Nella zona di Prosecco si raggiunse il 40%. L’attività di base fu svolta principalmente dalle donne perché prima dell’8 settembre ‘43 gli uomini erano stati richiamati alle armi. Le donne, impegnate in compiti di particolare responsabilità, erano, in genere, provviste di un’istruzione superiore e contavano su un’esperienza politica maturata negli organismi di lotta presenti in fabbrica e sul territorio. Le staffette furono parte di una complessa rete clandestina, che impegnava ogni aderente a rispondere all’organismo di riferimento strutturato in cellule con livelli diversi di responsabilità a seconda delle doti di ognuna e delle esigenze del momento. Novantasette donne slovene nell’estate del ’41 costituirono il primo nucleo delle donne antifasciste. Nel corso del ’42 le adesioni aumentarono di pari passo con la repressione, ma è innegabile che la Resistenza slovena riuscì a porsi alla guida degli operai triestini ed a orientarli verso comuni obiettivi. L’azione per il movimento partigiano a Trieste si esplicò nei rioni di Barcola, Gretta, Roiano, Scorcola, S. Giovanni, S. Giacomo, Cattinara, Longera, Rozzol, Servola e centro città.

Il trasporto e la consegna della posta era un compito molto rischioso che costringeva le staffette a spostarsi dalle periferie al centro.

A Opicina, anello di congiunzione tra unità partigiane del Carso e Movimento di Liberazione di Trieste, nella seconda metà del 1944 ci fu un tentativo di costituire un forum unico composto da sei donne slovene e sei italiane. Bombardamenti e retate avevano ostacolato il progetto.

In quella località la gioventù cominciò ad operare nell’autunno ‘43 e venne rappresentata nella sezione di Comeno, poi in quella di Sežana da Zorka Slobec. Gli incontri periodici si tenevano nella casa di Stanka Hrovatin, responsabile delle staffette, Jadranka Suligoj e Angela Vremec, segretaria e verbalizzante. La rete di staffette era molto articolata su tutto il territorio. La posta presso le Javke, postazioni di contatto delle staffette del comando di Sežana (prima ancora di Comeno), doveva essere poi distribuita alle postazioni sul Carso, a Trieste e Monfalcone. Quasi ogni giorno le ragazze portavano la posta ed il materiale propagandistico a Repen, Col, Pliskovica, Prosecco e Conconello.

Riferimento molto importante all’interno della rete clandestina antifascista a Trieste città era l’abitazione di Sidonia (Sida) Sanzin, attivista dell’Organizzazione dei giovani comunisti di Trieste. Un’altra casa sicura fu quella della famiglia Kodrič.

Il sistema delle staffette partigiane era gestito spesso da ragazze giovanissime: Jadranka Suligoj e Stanislava Hrovatin divennero staffette a 14 anni. Per Stanislava Cebuleč (Slava), come per molte compagne, l’attività di staffetta rappresentava solo una parte del suo impegno politico, da lei considerato la meta più alta e più importante del suo agire. Meri Merlak (Steva) faceva la spola tra Longera e Gropada, S. Antonio in Bosco e Cattinara, luoghi di collegamento con i partigiani combattenti. Accompagnava anche i giovani in montagna, portava la posta ed infine distribuiva volantini a Trieste. Marica Pipan (Nadia) e sua madre Maria Grilanc Pipan (Tatjana), entrambe staffette ed informatrici del IX Korpus, ricordano come Maria riuscì a salvare, nascondendoli in una dolina, undici partigiani. Nel 1944 i tedeschi abbatterono un aereo americano ed i piloti atterrarono con il paracadute tra S. Pelagio e Slivia. La madre ne trovò uno e lo accompagnò al IX Korpus.

Ma non andò sempre bene: la quasi sessantenne Rozalija Kos Kocjan, una delle numerose attiviste di Opicina, trasportava anche la posta e messaggi. Arrestata dai tedeschi sul tram di Opicina, fu impiccata il 7 marzo ‘44 ad un albero nel centro della località e lasciata lì per due giorni come monito. Il 29 agosto vennero fucilate ad Opicina cinque staffette di Prebenico: Angela Angelca, Mira – Mirka Bandi, Marija Slava Grahonja, Ana-Anica Parovel ed Elvira Kocijančič. La più giovane aveva 16 anni, la più anziana 23.

A Muggia, il 28 giugno ‘43, nel botteghino di frutta e verdura di Maria Maniago, Alma Vivoda lasciava a Pierina Chinchio un bigliettino con la data ed il luogo dell’appuntamento: il Boschetto di Trieste, dove Alma sarebbe stata uccisa e Pierina ferita. Quell’incontro, cui avrebbe dovuto partecipare anche la staffetta Ondina Peteani, da mesi in contatto con la Vivoda, sarebbe dovuto servire a potenziare la rete clandestina tra il Monfalconese e Trieste. La morte di Alma e la reazione dell’apparato repressivo del fascismo arrestava il progetto. Il 2 luglio Ondina finiva alle Carceri femminili dei Gesuiti dove trovava Pierina Chinchio, appena uscita dall’ospedale.

In una precedente occasione, Ondina Peteani e Nerina Fontanot erano riuscite involontariamente a far leva sulla galanteria di alcuni militari tedeschi che vedendole così “giovani e fragili”, scrive Anna Digianantonio, si erano precipitati ad aiutarle a sistemare in treno un voluminoso bagaglio. Non potevano immaginare che l’involucro nascondeva un ciclostile per stampare un giornale clandestino.

Nel ‘44 prontezza di riflessi ed inventiva salvavano Maria Husu (Vera) da un’irruzione di tedeschi nella sua casa di Prosecco perché al loro arrivo lei aveva urlato che nessuno doveva entrare in camera da letto, dove aveva dei materiali di propaganda, in quanto il pavimento era stato appena lavato. I casi fortunati costituirono però rare eccezioni: in quel terribile ’44, Wilma Tominez, Luigia Cattaruzzi, Margherita Pratolongo furono arrestate, mentre Francesca Snidersich Rumich, Angelina Paoletti Raunik e Maria Merlak si suicidarono gettandosi dalle finestre dell’Ispettorato Speciale per sottrarsi alla tortura. —

Riproduzione riservata © Il Piccolo