Dal secolo asiatico di Mussolini a Trieste al samurai di Fiume

Nel 1921 il Duce pronunciò in città il secondo discorso, un anno e mezzo prima della Marcia su Roma La ricercatrice Silvia Zanlorenzi approfondisce i rapporti Italia-Giappone negli anni Venti e Trenta 

le tappe



Il 6 febbraio del 1921, un anno e mezzo prima della Marcia su Roma, Mussolini scelse Trieste redenta per annunciare, dal palco del Politeama Rossetti, l’avvento del “secolo asiatico” e in particolare del Giappone, “destinato a funzionare da fermento di tutto il mondo giallo”. Questo fu il secondo discorso tenuto dal Duce a Trieste, seguito dal ben più celebre discorso del 1938, in cui da Piazza Unità annunciò le leggi razziali. Fu un discorso fondante per l’irredentismo, pronunciato nella città più sensibile al tema due anni dopo l’impresa di Fiume: Mussolini ribadì il suo rifiuto per l’assetto internazionale dell’epoca, prefigurando una “guerra dei continenti per il dominio del Pacifico”.

Nel corso del ventennio fascista le relazioni tra Italia e Giappone si rafforzarono sia dal punto di vista diplomatico e commerciale sia a livello di scambio culturale. Gabriele D’Annunzio aveva già spianato la strada all’inizio del 1900 e la sua passione per l’Impero del Sol Levante, che durò per oltre cinquant’anni, lo lega tra l’altro alle vicende di quello che fu soprannominato il “Samurai” di Fiume, il poeta, traduttore e scrittore giapponese Harukichi Shimoi.

Furono numerosi e sono tuttora poco esplorati i legami che si crearono in quel periodo tra l’Italia e il Giappone: ne abbiamo discusso con la studiosa Silvia Zanlorenzi, che da anni sta lavorando proprio su questo tema.

Zanlorenzi, che attualmente è ricercatrice all’Università di Padova, ha conseguito un dottorato all’Università di Trieste in Storia delle relazioni internazionali con una tesi su “diplomazia e alleanza tra Italia e Giappone negli anni Trenta del Secolo Breve” e sta lavorando su un saggio di prossima pubblicazione che approfondisce ulteriormente l’argomento.

L’aviatore Ferrarin

«Nel discorso triestino del 1921, in cui Mussolini non manca di rimarcare ripetutamente la questione fiumana e dalmata, è citato il raid Roma-Tokyo del 1920: il primo viaggio aereo tra l’Italia e il Giappone, portato a termine dall’aviatore Arturo Ferrarin in 112 ore di volo. L’impresa fu ideata da Gabriele D’Annunzio, per cui il Giappone era il luogo dei sogni, la meta inarrivabile per eccellenza, in seguito al suo incontro con il poeta giapponese Harukichi Shimoi, giunto in Italia nel 1915 per studiare Dante e insegnare la sua madre lingua all’Istituto Orientale di Napoli.

Il soldato poeta

Shimoi, che discendeva da una famiglia di samurai, nel 1917, durante la Grande guerra, si arruolò volontario nelle truppe scelte dell’epoca, gli Arditi, combattendo sul Carso e insegnando il karate ai propri commilitoni. Il suo incontro col Vate avvenne probabilmente sotto le armi e lo portò poi a seguirlo nell’impresa di Fiume. Il giapponese funse da collegamento tra D'Annunzio, reggente di Fiume e Mussolini, all'epoca a capo dei Fasci italiani di combattimento e direttore de Il Popolo d’Italia, trasportandone segretamente le lettere grazie al suo passaporto diplomatico, che gli permetteva grande libertà di movimento».

Dopo l’esperienza fiumana Shimoi aderì entusiasticamente al Fascismo e partecipò alla Marcia su Roma. Tornato in Giappone, fu un instancabile divulgatore della cultura italiana: Yukio Mishima conobbe D’Annunzio per suo tramite. «Eppure in Italia Shimoi è un illustre sconosciuto: l’unico libro che ne parla estesamente (The fascista effect: Japan and Italy 1915-1952) è stato scritto da un ricercatore di origine svizzera, Reto Hofmann», nota Zanlorenzi, evidenziando come in Italia vi sia ancora, anche tra gli accademici, una certa reticenza nell’approfondire le vicende legate al periodo dell’Asse Roma-Berlino-Tokyo.

L’armatore Cosulich

Eppure si tratta di un’epoca di grande interesse storico, in cui nei rapporti tra Italia e Giappone anche la città di Trieste entra più volte in gioco. Un esempio? Nella missione economica italiana in Giappone, spedizione organizzata nel 1938 per creare più solidi rapporti diplomatico-commerciali fra le due potenze, tra i rappresentanti italiani che fecero parte della delegazione partita da Venezia alla volta di Nagasaki vi fu anche l’armatore Antonio Cosulich, presidente di Finmare.

«L’Italia per il Giappone era un potenziale fornitore soprattutto in ambito aeronautico e bellico: fu lo stesso Galeazzo Ciano a richiedere il coinvolgimento delle compagnie di navigazione triestine per la fornitura di materiale cantieristico - spiega Zanlorenzi -. Ma alla fine non se ne fece nulla, perché i triestini si dichiararono non in grado di soddisfare la richiesta giapponese».

All’epoca la missione ebbe comunque risultati importanti, portando alla stipula di un accordo commerciale tra il regno d'Italia e gli imperi del Giappone e del Manchukuo. E questo ci riporta all’attualità, perché per le relazioni commerciali tra l’Italia e il paese del Sol Levante questo è un momento particolarmente propizio: il primo febbraio scorso è entrato in vigore l’accordo di partenariato economico tra Unione Europea e Giappone, che darà vita alla più vasta area di libero scambio al mondo, rimuovendo i dazi per un miliardo di euro all’anno e riducendo gli orpelli normativi che rendevano più complicati gli scambi commerciali.



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