Dal pendolo alla rella il mondo perduto dei giochi di una volta

di GIOVANNA PASTEGA
Il gioco da sempre non è solo la "neverland" di ogni bambino, il mondo fantastico e immaginario dove costruire una propria realtà, dove indagare la propria dimensione interiore, sfidare i propri limiti o circumnavigare le proprie attitudini o ancora dove esplorare i propri sogni e, perché no, dove intravedere il proprio destino. Il gioco è anche una vera e propria "macchina del tempo" che muta e si evolve con la società e i costumi e al contempo traghetta lungo i secoli "fossili" culturali ed educativi di civiltà antichissime. Il cerchio fatto correre con un bastone ad esempio secondo gli storici è uno dei giochi più antichi dell'umanità, essendo raffigurato persino sui vasi della Grecia antica. Anche quello che a Trieste viene chiamato "El pendolo" ma a Milano "la rella", a Roma la "nizza", a Palermo "a manciugghia", a Venezia "la mazza e il pindolo" (fatto di due bastoni, uno lungo e un corto, usati come in una sorta di proto-baseball) è un gioco straordinariamente antico: la lippa, di cui il Petrie Museum di Londra conserva alcuni reperti egizi risalenti addirittura a 3.700 anni fa. Per non parlare poi del nascondino, dei cinque noccioli, del campanon, delle biglie o del tacco, giochi senza tempo, senza nessuna tecnologia o design, realizzati con pezzi di legno, di vetro o di ferro riciclati dai bambini di ogni epoca fino a quasi tutto il '900. Proprio alla magia di questi straordinari giochi, fatti quasi di niente, per lo più ambientati all'aria aperta, è dedicato l'intreccio di mostre proposto fino al 12 febbraio dal Centro Culturale Candiani di Mestre e intitolato "Giochi perduti. Fotografie, balocchi e racconti alla ricerca del tempo passato".
«Abbiamo raccolto - spiega la curatrice Elisabetta Da Lio - oltre 120 foto 'vintage' e 'modern print' insieme a decine di giocattoli selezionati dal Museo dell'Educazione dell'Università di Padova e da una collezione privata per invitare il pubblico a riscoprire e riflettere sul tempo passato e sul concetto di gioco». Cuore dell'esposizione la sezione dedicata a Bepi Merisio, uno dei più celebri fotografi e fotoreporter italiani, oggi ottantacinquenne. «Dei suoi tanti reportage realizzati in giro per l'Italia - spiega Raffaella Ferrari curatrice della sezione - abbiamo scelto una sessantina di scatti tutti dedicati al gioco. Istanti catturati dalla vita quotidiana dei borghi e delle città dell'Italia anni '60. Come nella poetica Neorealista in mostra ci appaiono frammenti di vita colti nel loro farsi: dalle partite a calcio in piazza fino ai giochi sulla neve, dai bambini che saltano nelle tombe della necropoli messapica di Manduria a quelli che si nascondono tra i trulli di Alberobello, dai giochi di carte in osteria alle tombolate, fino ai girotondi». Vera e propria mostra nella mostra, la sezione dedicata a Venezia con oltre cinquanta immagini storiche, anche di fine '800, provenienti da vari fondi fotografici. Ecco allora il gioco del calcio in Campiello de le Strope o i tuffi nei rii, il salto della corda in Campiello degli Squellini o il gioco delle bocce al Lido di Venezia o ancora la lotteria con il coniglio, le giostre e il nascondino. Foto che evocano atmosfere, rapporti, dialoghi, momenti di vita comune negli spazi aperti della città, che sembrano quasi riportarci alla mente le voci dei bambini che intonano filastrocche, canzoni, tiritere di antichissima tradizione, immancabili colonne sonore dei giochi di ogni tempo. In mostra accanto alle foto anche molti giocattoli: macchinine, tricicli, slittini, giochi da spiaggia, costumi di carnevale e bambole. «Abbiamo cercato - spiega Patrizia Zamperlin del Museo dell'educazione di Padova - di creare un collegamento tra i giocattoli esposti e le foto, anche se questa mostra documenta soprattutto la bellezza dei giochi estemporanei, quelli fatti quasi senza giocattoli, a testimoniare in passato un'infanzia padrona degli spazi delle città, che di ogni luogo faceva teatro e strumento di gioco, cosa oggi quasi impensabile con i ritmi e la super-organizzazione degli spazi e dei tempi di vita anche dei bambini». Nell'isola che non c'è del gioco raccontata in questa mostra tutto è permesso, tutto si trasforma e diventa fantastico, non serve un dove, non serve un quando: un sasso, un tappo, una biglia di vetro diventano oggetti fantastici, motori inesauribili di sfide, di divertimenti senza pensieri e di invenzioni alle soglie dell'incredibile. Una libertà di luoghi e di tempi forse oggi perduta che questa esposizione vuole contribuire a ricordare.
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