Dai maccheroni di Sordi alla Nutella di Moretti È un menù tutto di film

di Beatrice Fiorentino A come "abbacchio", piatto forte a Cinecittà tra gli anni Cinquanta e Sessanta, alla scottadito in riva al Tevere ("Bellissima", 1951, Luchino Visconti) o al ristorante Il...
Di Beatrice Fiorentino

di Beatrice Fiorentino

A come "abbacchio", piatto forte a Cinecittà tra gli anni Cinquanta e Sessanta, alla scottadito in riva al Tevere ("Bellissima", 1951, Luchino Visconti) o al ristorante Il Giardinaccio, dove il medico della mutua, Alberto Sordi, lo mangia con la fidanzata arrivando persino a negarsi al telefono quando lo chiamano per chiedere la visita a un paziente ("Il medico della mutua", 1968, Luigi Zampa). «Che è, abbacchio?», chiede il commissario Lombardozzi (sempre Sordi) a un indiziato, «No, è gatto. Chi non lo sa che è così buono...», «Pussa via!» ("Il commissario", 1962, Luigi Comencini).

A come "abbuffata", quella "grande" di Ferreri, del 1973, o semplicemente "L'abbuffata", di Mimmo Calopresti, del 2007. E come "aglianico". Laura Morante, in "Se Dio vuole" (2015, Edoardo Falcone), se ne scola mezza bottiglia preparando il pranzo. «Quasi finita… ne apriamo un'altra!».

B come "babà", naturalmente, o come i "bagel" serviti col caffè in «Giovani, carini e disoccupati» (1994, Ben Stiller), come "bagna cauda", "banana" o i "barbecue" che abbondano nei giardini delle villette a schiera del cinema americano ma fanno capolino anche nel Belgio dei fratelli Dardenne ("Il ragazzo con la bicicletta", 2001). "Basilico", "birra", "biscotto", "bollito" e "bignè". Ma anche come Buñuel, il maestro del surrealismo che imbandiva tavole a cui i commensali, borghesi dal fascino discreto, siedono seduti su water al posto delle sedie o cercano di organizzare cene che mai avranno luogo.

In "Mangiafilm", edito da Tre Lune (pagine 525, euro 22), il sociologo della comunicazione Salvatore Gelsi, iniziatore di un campo di ricerche che collegano il cinema all'alimentazione e il vedere al mangiare, raccoglie ben 700 voci, 4000 film, 25 schede dedicate a registi, generi e attori, in un dizionario enciclopedico ricco di citazioni, battute e curiosità. Scene, racconti e piatti che sono il frutto di una decennale ricerca su cinema e pubblicità, televisione e rete, mode e consumi.

«Trovo appagamento nel cibo. È un fatto più mentale che fisico. C'è molta più aspettativa nel trovarsi di fronte a un buon cibo di quanta non ce ne sia nell'andare in vacanza o nel vedere un bello spettacolo. Ci sono due modi di mangiare: mangiare per vivere e mangiare per piacere. Io mangio per piacere». Parola di sir Alfred Hitchcock, e non abbiamo motivo per non credergli.

Charlot, alla lettera C, merita un'intera scheda dedicata alla fame dei tempi moderni. Chi non associa il binomio cinema e cibo allo scarpone de "La febbre dell'oro", cucinato, servito e degustato come si trattasse di una deliziosa pietanza? Prima i chiodini, sfilati con cura, succhiati uno ad uno e poi accantonati come se fossero ossicini. Poi le stringhe arrotolate con la forchetta come spaghetti e infine la suola, tagliata con cura come si trattasse di una bistecca. Sublime.

Volendo si può anche saltare velocemente alla lettera M dove troveremo la voce "maccheroni". «Maccarone! M'hai provocato… e io te distruggo adesso, maccarone. Io me te magno!», forse la battuta più celebre nel campionario dei personaggi comici interpretati da Alberto Sordi, con maglietta, jeans e cappello col frontino, quando scimmiotta lo stereotipo dell'americano a Roma divorando una forchettata di spaghetti, maccheroni, "pasta" insomma.

Come quella evocata da Ferzan Özpetek in "Mine vaganti": «Hai visto le macchine nuove? Una volta la pasta la chiudevamo noi nella carta, io mi sedevo in mezzo agli altri e facevo le confezioni, ore e ore… e mi domandavo, chi la mangia questa pasta che ho toccato con le mie mani?».

E giovedì? “Giovedì gnocchi”, si annuncia a pranzo nella pensione in cui vive il duca Gagliardo della Forcoletta ("Totò lascia o raddoppia", 1956, Camillo Mastrocinque). Passando al dolce, potrebbe forse mancare la Nutella? Nel gigantesco barattolone in cui Nanni Moretti affonda il coltello per poi spalmarla su enormi fette di pane toscano ("Bianca", 1983).

Dal lontano oriente i dorayaki della signora Tuku, della Francia la ratatouille, dal Messico le torrijas di Arau. E poi torte in faccia, martini con l'oliva (agitato, non shakerato), spaghetti western o all'amatriciana e gli hamburger di Tarantino: «A Parigi non esiste il "quarto di libbra con formaggio", lì c'è il sistema metrico decimale, non sanno cosa sia un quarto di libbra. Lo sai come lo chiamano? "Le Royale con formaggio"", "E come chiamano il Big Mac? ", "Il Big Mac è il Big Mac, lo chiamano "Le Big Mac"».

Per concludere ci vuole un brindisi, levando calici di Dom Pérignon, e a seguire il caffè. Quello che conforta i cuori dei soldati al freddo delle trincee ("Torneranno i prati", 2014, Ermanno Olmi) o quello che "un buon giornalista non rifiuta mai" ("Io so che tu sai che io so", 1982, Alberto Sordi).

"Mangiafilm" racchiude pagine e pagine di cibo citato, spiegato, guardato che ci fa conoscere realtà del passato e del presente, di paesi lontani, tradizioni e abitudini tramandate o perdute.

Un lavoro monumentale e un po' folle, curioso, quasi maniacale, a tratti bulimico, destinato a cinefili voraci o a ghiotti gourmet, da leggere spizzicando qua e là, un po' alla volta, oppure da buttar giù in un sol boccone.

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