Da Trieste alla Staatsoper di Vienna «Ma io volevo comandare una nave»

Un percorso d’arte a tappe imperiali cominciando dal coro del “Verdi”



Aveva già in tasca l’ambito biglietto per il concerto di Capodanno al Musikverein di Vienna, ma con la chiusura obbligata delle sale ha deciso di trascorrere le feste nella sua Trieste. Il baritono Paolo Rumetz vive da quasi un decennio nella capitale austriaca, dove fa parte dell’ensemble stabile di solisti della Staatsoper. Anche a Vienna l’attività del teatro, solitamente molto intensa per il sistema di continua rotazione di allestimenti diversi, è temporaneamente sospesa, sostituita dal programma in streaming. L’attesa della riapertura al pubblico per Rumetz non trascorre solo tra le partiture e gli affetti, ma anche in compagnia di molti libri.

Tra le sue letture preferite ci sono i libri di storia, in particolare sull’Impero austroungarico e Trieste. Nostalgia per la sua città?

La passione per la mia città esiste da sempre, legata ai racconti dei miei nonni che ne conoscevano mille luoghi e aneddoti. Credo invece che l’interesse per la letteratura sugli Asburgo e sull’Austria sia stato molto utile per viverci, per capire comportamenti ben delineati da autori come Zweig e Von Hofmannsthal. L’altra mia grande passione sono i libri sulla storia del Titanic, ma devo ammettere che amo leggere di tutto e il mio libro preferito è sempre l’ultimo che sto leggendo, in questo caso “Carlos Kleiber. Vita e lettere”, una biografia del grande direttore. Nel mio cuore c’è però anche un triestino, Italo Svevo, con “La coscienza di Zeno”; non posso non collegarlo a “La montagna incantata di Mann”, che sembra il seguito della storia, una sorta di Zeno uscito da Trieste. Infine c’è un libro oggi non più tanto letto, ma che mi ha insegnato molto ed è “L’amico ritrovato” di Uhlman, una storia sul valore dell’amicizia sullo sfondo della Germania nazista.

Ritornando alla sua passione primaria, potremmo dire che anche la sua carriera ha ripercorso tappe “imperiali”: Trieste-Fiume-Vienna...

Per diversi anni ho cantato nel coro del Teatro Verdi ed è stata un’esperienza utilissima perchè da corista si può imparare molto osservando i grandi cantanti, che all’epoca erano Cappuccilli e Cossutta. Poi sono iniziati i primi piccoli ruoli, seguiti dalla fondamentale esperienza alla Scuola di Musica di Fiesole con il maestro Desderi. Ho iniziato specializzandomi nei ruoli buffi, poi il teatro di Fiume mi ha dato la prima occasione di interpretare un grande ruolo “serio”, quello di Germont in Traviata, che è rimasta una delle mie opere preferite. A Fiume ho debuttato molti altri ruoli, principalmente verdiani, poi sono seguiti ingaggi in tutta Italia, anche alla Scala nelle opere Un giorno di regno e Madama Butterfly.

La Staatsoper è stata un obiettivo o un caso?

Porto Vienna nel cuore da sempre, da bambino sognavo di cantarci, più che alla Scala, ma mai avrei pensato di riuscirci. In un momento di crisi nei teatri italiani, nel 2012, è capitata l’occasione dell’audizione. Cercavano un buffo per sostituire uno storico solista dell’ensemble. In realtà speravo di non rientrare nuovamente nel clichè di ruoli che mi fissavano su personaggi come Don Magnifico, Don Bartolo, Dulcamara, ma un’opportunità come questa non capita spesso. In Italia non abbiamo questo tipo di sistema, con ensemble di solisti assunti dal teatro. Si canta ruoli di ogni genere, a volte anche pronti a risolvere emergenze come le sostituzioni di cantanti all’ultimo minuto. Mi è capitato appena entrato nell’ensemble, sostituendo il baritono al fianco di Edita Gruberova nel Roberto Devereux di Donizetti. Sono seguiti poi Ballo in maschera, Trovatore, Cavalleria...

A proposito di sostituzioni: è nota quella del protagonista in Rigoletto, quando è subentrato a Keenlyside in uno streaming mondiale. Quali sono state le altre esibizioni solistiche memorabili nella sua carriera, almeno finora?

Sicuramente Simon Boccanegra a Tokyo con Nello Santi, che per quanto mi riguarda e nell’ambito del repertorio italiano è stato il direttore più grande. Con lui ho interpretato molte altre opere verdiane, compreso Falstaff, alla quale tengo molto.

Ha pensato di fare il cantante fin da bambino?

Da bambino volevo fare il capitano di nave, poi verso i tredici anni è avvenuta la svolta. Ero un frequentatore di teatri d’opera: mio nonno era corista e tutti in famiglia avevano l’abbonamento. A tre anni ho visto la mia prima opera: mi avevano portato al castello di San Giusto per la Lucia di Lammermoor. Tutto era andato bene fino alla scena della pazzia, quando la protagonista è uscita al buio e con la camicia da notte sporca di sangue. Ho pianto talmente tanto che mi hanno dovuto riportare a casa e mio padre non voleva più portarmi all’opera. Ma poi sono seguiti i Vespri siciliani, in teatro, e da lì non ho più smesso. Quando ho deciso di fare il cantante ero ancora troppo giovane per iniziare, quindi mi sono iscritto a una scuola di recitazione. Ho studiato e lavorato nel teatro amatoriale con Ugo Amodeo, con il quale è nato un bel rapporto di amicizia. Ma al di là della predisposizione per il teatro di prosa, sapevo che quello studio era solo la preparazione all’obiettivo principale.

Cosa le piace dell'ambiente musicale austriaco?

Lo trovo straordinario. A Vienna ci sono tre teatri d’opera, orchestre di livello altissimo, la possibilità di ascoltare musica di ogni genere. La città è piena di studenti di musica da tutto il mondo, perché offre scuole di riferimento, ma anche i viennesi amano andare a teatro e ascoltare musica. Quando si appassionano a un allestimento operistico, ritornano più volte per rivederlo e hanno i propri beniamini. Anch’io ho il piacere di avere un pubblico che mi segue con affetto ed è bellissimo.

Ha preso qualche abitudine viennese?

Mi piace la cucina viennese, l’abitudine di frequentare gli amici negli Heurige, ovvero le osmize. Le abitudini dei viennesi sono molto simili a quelle dei triestini; di base sono parecchio più riservati rispetto a noi, ma brontolano allo stesso modo. —

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