Da Monaco a Trieste tutte le anime inquiete della grande Secessione
A Palazzo Roverella di Rovigo una rassegna di opere ripercorre le tappe europee del movimento

Ancora oggi sulla facciata del Palazzo della Secessione di Vienna progettato dall'architetto Joseph Maria Olbrich nell'ultimo scorcio dell'Ottocento, si può leggere nei caratteri dorati su fondo bianco la scritta: “A ogni epoca la sua arte, all'arte la sua libertà”. E ancora oggi a sentire il termine Secessione vengono subito in mente Vienna, le preziose figure femminili di Klimt, i corpi contorti di Schiele, i mobili di Hoffmann: un'epoca che è insieme rivoluzione e già nostalgia.
In realtà il fenomeno delle Secessioni abbraccia un contesto artistico, culturale ed anche geografico molto più ampio: la mostra “Secessioni europee. Monaco Vienna Praga Roma. L’onda della modernità”, di recente inaugurata a Rovigo nelle sale espositive di Palazzo Roverella, per la cura di Francesco Parisi, lo viene ad illustrare. Per la prima volta vengono comprese in un panorama complessivo le diverse manifestazioni che, tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento, proposero un nuovo modo di concepire e intendere l'arte nei quattro principali centri in cui si svilupparono le Secessioni. Manifestazioni differenti ma che in ogni caso furono in comunicazione tra loro e si influenzarono reciprocamente.
Articolato per sezioni tematiche dedicate alle singole città europee, il percorso espositivo si apre, cronologicamente, con la Secessione di Monaco.
Era infatti il 1892 quando un gruppo di giovani artisti decide di abbandonare la Società degli artisti monacensi per fondare un nuovo gruppo: alla base di tale presa di posizione c'erano il fallimento dell'Esposizione Nazionale dell'anno precedente e la volontà di aprire occasioni di confronto con autori internazionali. Gli intenti del nuovo gruppo furono redatti in uno statuto che in breve tempo riuscì a riunire ben 180 artisti. Inizialmente nel nuovo movimento confluivano diverse tendenze, tuttavia non passò molto tempo che il simbolismo panico e mistico di Franz von Stuck spiccasse ed esercitasse la sua suggestione anche sugli altri artisti.
A Palazzo Roverella dell'artista tedesco è esposto il suo inquietante “Lucifero”: immerso nell'oscurità appare in una posa simile a quella del “Pensatore” di Rodin, ma i suoi occhi sembrano poter gelare chi lo guarda. Lo stesso autore rivelò che i ministri del principe Ferdinando I di Bulgaria, allora proprietario del dipinto, erano soliti farsi il segno della croce al suo cospetto.
Parimenti raggelanti gli occhi della “Medusa” realizzata sempre da Von Stuck, assolutamente affascinante per la tecnica levigata del pastello utilizzata in questo caso. Ancora dello stesso autore sono due sculture in bronzo di un'Amazzone e di una Ballerina.
Notevoli sono anche i dipinti di Carl Strathmann: in particolare la sua “Maria” dal volto appena suggerito di profilo, è ricca di suggestioni bizantine e preziosità decorative. L'artista era collaboratore della rivista “Jugend”, da cui deriva la denominazione Jugendstil a significare la versione tedesca del liberty.
Ancora nell'area tedesca attirano l'attenzione per l'originalità il dipinto “Fiori del male” di Thomas Theodor Heine e l'arazzo con i “Cinque cigni” di Otto Eckmann.
Passando dalla Germania all'Austria, da Monaco a Vienna, in mostra non poteva mancare il Manifesto per la Prima Mostra della Secessione disegnato da Gustav Klimt nel 1898. La dea Atena, armata di lancia e scudo, osserva la lotta tra Teseo e il Minotauro, che incarnano rispettivamente la nuova arte e l'arte accademica: “ver sacrum”, primavera sacra, è scritto inoltre sul manifesto, ad annunciare una nuova, prolifica stagione per l'arte tutta.
Klimt firma anche l'opera scelta a immagine della mostra, “Le amiche I”: il dipinto, esposto alla Biennale di Venezia del 1910, colpisce per lo stretto verticalismo del formato e per il contrasto tra i toni neri dello sfondo da cui emergono i vivaci elementi decorativi ispirati ai mosaici di Ravenna, oltre ai volti delle due donne dal fascino ambiguo, eleganti, raffinate, inquiete.
Inquiete e tormentate le donne di Egon Schiele, allievo prediletto di Klimt, esibiscono i loro corpi nudi in pose complicate, di un erotismo sofferto. Completano la sezione i dipinti di Kolo Moser, Wilhelm List, Josef Maria Auchentaller, tazze, vasi, sedie, poltrone, tavolini disegnati da Josef Hoffmann, i libri illustrati da Oskar Kokoschka.
La sezione dedicata alla città boema è forse quella che riserva maggiori sorprese. “Ogni mattina si levano due soli sul Hradschin” scriveva Rainer Maria Rilke nelle sue storie praghesi: uno tedesco e l'altro slavo. Analogamente il panorama artistico della città magica appare variegato, influenzato sia dall'area tedesca che da quella slava. La Secessione di Praga prese forma in una serie di gruppi di artisti più o meno organizzati, che a partire dal 1890 si ritrovarono a manifestare le loro idee in aperto contrasto con l’arte ufficiale boema.
Tra i primi il gruppo Manes, sorto nell’Accademia di Monaco, ma presto trasferitosi a Praga nella volontà di riformare l’arte nazionale ceca. Attorno al 1910 si formò invece il gruppo Sursum, che manteneva al suo interno diverse anime, da quella più espressionista di Josef Vachal a quella più simbolista di Frantisek Kobliha fino allo scultore Frantisek Bilek.
Le opere in mostra riflettono le inclinazioni simboliste venate di misticismo, esoterismo o sottile erotismo. Suggestioni egizie compaiono nella Salomè di Jan Konupek, mentre nella pittura di Josef Vachal si mescolano “la bizzarria e lo humor nero di Bosch” sotto l'influsso di Munch, Ensor, Redon, Gauguin.
La Secessione romana ebbe luogo soltanto nel 1912, ancora una volta per l'insoddisfazione nei confronti delle giurie d'accettazione delle grandi esposizioni, ritenute poco attente alle novità internazionali. La prima mostra si tenne nel Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1913, cui fecero seguito altre quattro mostre fino al 1917. Il movimento non poteva non far sentire le sue influenze anche fra i maggiori artisti di Trieste, e siccome a Rovigo sono riuniti i principali autori italiani che presero parte alle mostre della Secessione ecco tra questi anche i triestini Edgardo Sambo e Attilio Selva: il primo trasferitosi a Roma nel 1911 dopo essere stato a Venezia, Vienna e Monaco a diretto contatto con gli artisti o le opere delle secessioni internazionali, è rappresentato dal suo dipinto “Macchie di sole”, esposto alla Terza Esposizione della Secessione. Il secondo, giunto a Roma nel 1909 dopo la sua formazione torinese presso lo studio di Leonardo Bistolfi, è rappresentato dalla sua scultura in gesso patinato intitolata “Idolo”, presentata sempre alla mostra del 1915 di Roma.
Degne di nota anche le altre presenze di quest'ultima sezione come ad esempio quelle di Galileo Chini, Plinio Nomellini, Felice Casorati, Mario Cavaglieri, Guido Cadorin, Libero Andreotti, Gino Rossi e Lorenzo Viani, unico, vero pittore espressionista italiano. La rassegna, che rimarrà aperta fino al 21 gennaio, è arricchita da una catalogo con i contributi di Francesco Parisi, Horst Ludwig, Sarah Kinzel, Alessandra Tiddia, Giovanni Fanelli, Hana Larvova, Manuel Carrera (Silvana Editoriale).
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