Da Latisana a New York: i film di Ila Bêka al Moma VIDEO

Sedici opere sull’architettura di Filippo Clericuzio, realizzate in collaborazione con Louise Lemoine, acquisite dal celebre Museo americano d’arte moderna

Ila beca, Ila beca: Attila ti becca, Attila ti prende: questo era il suo soprannome da bambino, quando giocava a rincorrersi con i compagni di scuola, evocando antiche storie di barbari invasori di cui dalle sue parti, tra Latisana e Rivignano, ancor oggi si continua a favoleggiare, andando alla ricerca della tomba del terribile unno. L'avrebbe mai immaginato allora che proprio con quel soprannome sarebbe stato inserito tra i maggiori artisti italiani presenti nella collezione permanente del Moma di New York?

La notizia è di qualche giorno fa: l'intera produzione di 16 film della serie "Living Architectures" della coppia di registi italo-francese Ila Bêka & Louise Lemoine è stata acquisita dal Museum of Modern Art di New York. Un'acquisizione ancora più rara e prestigiosa in quanto si tratta dell'opera completa di un artista vivente.

Filippo Clericuzio, in arte Ila Bêka, (nato a Latisana nel 1967) ci racconta tutto lo stupore, suo e di Louise, quando sono venuti a sapere delle intenzioni di acquisizione del loro lavoro da parte di uno dei più prestigiosi musei d'arte contemporanea al mondo. «I primi contatti sono iniziati a ottobre - dice Ila - ma pensavamo che volessero soltanto presentare alcuni nostri film o ci invitassero per qualche conferenza, invece...».

Laureatosi in architettura allo Iuav di Venezia, Filippo, dopo l'esperienza Erasmus, decide di stabilirsi a Parigi. Contemporaneamente alla sua prima attività come architetto inizia a girare cortometraggi; nel 2001 realizza la serie di 168 microfilm per la Universal Studio chiamata poi "Millimetraggi", con i quali vince il Festival du Film Très Court di Parigi, il Premio Troisi di San Giorgio a Cremano e Maremetraggio a Trieste. Per differenziare l'attività di filmaker da quella di architetto ripesca il suo soprannome di bambino e nel 2003 fonda la casa di produzione BekaFilms.

Ila Beka al Moma di Ny: "The Infinite happiness"

Nel 2005 inizia a lavorare insieme a Louise Lemoine, realizzando nel 2008 quello che il quotidiano El Pais definirà “il film cult dell'architettura”: "Koolhaas Houselife". «Abbiano stupito tutti; il film ha avuto enorme successo proprio perché abbiamo fatto tutto il contrario di quello che si faceva nei film di architettura: non c'erano critici, non c'erano architetti, solo una domestica intenta nelle faccende». Con quest'opera, paragonata a “Mon oncle” di Jacques Tati, Ila Beka e Louise Lemoine hanno inventato un nuovo modo di raccontare l'architettura: un ritratto reale e vitale della Villa di Bordeaux progettata nel 1998 da Rem Koolhaas/OMA vissuta nel quotidiano attraverso gli occhi e le azioni di Guadalupe Acedo, custode e governante della casa.

Ila Beka al Moma di New York: "Koolhass Houselife"

Quanto è importante l'ironia nei vostri lavori?

«Ci permette di prendere le distanze dal film di architettura classicamente inteso. Il nostro obiettivo non è quello di spiegare ma di presentare una situazione, un luogo, attraverso l'osservazione delle persone. Non vogliamo affermare qualcosa ma capire. L'ironia permette di allargare il pubblico: il nostro primo film è diventato quasi un manifesto del nostro modo di operare ed è partito dal desiderio di provare a rispondere alla domanda come ci piacerebbe vedere l'architettura?».

Un lavoro definito anche come un'antiarchitettura...

«Non si tratta di una presa di posizione contro l'architettura ma di voler portare qualcosa che non c'era prima nei film di architettura, ovvero le persone. A nostro vedere non si può parlare di architettura senza pensare alle persone che quelle architetture le vivono, senza considerare le relazioni che le persone creano nello spazio».

Come avete proseguito quindi?

«Dalla casa siamo passati alla piazza, alla città indagando la relazione delle persone con gli spazi sempre più vasti: nel 2014 abbiamo girato "24 Heures sur Place" a place de la Republique a Parigi, "Barbicania", sul complesso residenziale londinese e "La Maddalena" per la videoinstallazione presentata all'ultima Biennale di architettura di Venezia».

Attualmente a cosa state lavorando?

«Ci troviamo a Roma per riproporre una versione italiana di "24 h Place de la Republique", poi ci sposteremo a Città del Messico».

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